La legge, sulla carta, avrebbe dovuto allineare il mercato del lavoro italiano agli standard europei con un mix di flessibilità e indennità adeguate per chi perde il posto, ma anche oggi la Corte ha chiesto di aumentare le tutele ritenendole non sufficienti
Ancora una volta i giudici della Consulta “bocciano” il Jobs act, pur avendolo salvato in altre occasioni (come sulla disciplina dei licenziamenti collettivi, ndr) quando in passato sono state poste questioni di legittimità. La legge, sulla carta, avrebbe dovuto allineare il mercato del lavoro italiano agli standard europei con un mix di flessibilità e indennità adeguate per chi perde il posto, ma anche oggi la Corte costituzionale ha chiesto di aumentare le tutele contro i licenziamenti illegittimi, ritenendole quelle tutele non sufficienti. Oggi i giudici scrivono che la riforma della riforma della disciplina dei licenziamenti illegittimi nelle piccole imprese è indifferibile.
Due anni fa i giudici, confermando il principio generale, già affermato nel 2018, sentenziarono che il solo criterio dell’anzianità di servizio per determinare l’indennità risarcitoria nei licenziamenti illegittimi era incostituzionale. Già nel 2018 la Corte aveva bocciato riguardo ai licenziamenti ingiustificati il criterio della sola anzianità di servizio nel determinare gli indennizzi, facendo rivivere la discrezionalità dei giudici chiamati cioè a decidere il ristoro più opportuno da riconoscere al dipendente licenziato illegittimamente.
Nel giugno del 2020 la Consulta quindi si era espressa su una fattispecie minore di licenziamento illegittimo, quello determinato per vizi solamente formali e procedurali, ad esempio il mancato rispetto dei termini. Il Jobs act anche in questi casi prevedeva in caso di illegittimità una sanzione economica fino a un massimo di 12 mensilità legata anche qui al criterio dell’anzianità di servizio. Così in linea con la precedente pronuncia del 2018 era stata confermata anche qui l’incostituzionalità dell’inciso “di importo pari a una mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento … per ogni anno di servizio” in quanto, ripetono i giudici, “fissa un criterio rigido e automatico, legato al solo elemento dell’anzianità di servizio”.
Il 26 settembre 2018 la norma sul contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti era stato considerato illegittima nella parte in cui determinava in modo rigido l’indennità spettante al lavoratore ingiustificatamente licenziato. In particolare, la previsione di un’indennità crescente in ragione della sola anzianità di servizio del lavoratore era, secondo la Corte, contraria ai principi di ragionevolezza e di uguaglianza e contrasta con il diritto e la tutela del lavoro sanciti dagli articoli 4 e 35 della Costituzione. L’anno pero la norma era finita davanti alla Corte Ue che aveva stabilito che “non è discriminatoria e non va contro il diritto europeo la mancata reintegra in caso di licenziamento illegittimo”.