La donna è considerata vicina a persone di spicco della cosca Grande Aracri, conosciuta anche per essere attiva sul territorio emiliano
Un’imprenditrice di Reggio Emilia è stata condannata a due anni di reclusione e alla confisca di beni per il reato tributario di indebita compensazione. In particolare è accusata di non aveva versato all’erario la somma complessiva di 628.237,65 euro, dal 2004 al 2008. La donna è considerata vicina a persone di spicco della cosca di ‘Ndrangheta, attiva sul territorio emiliano.
Ad eseguire il decreto di confisca definitiva emesso dalla procura generale alla Corte d’Appello di Bologna, nei confronti dell’imprenditrice di origini calabresi, è stata la guardia di finanza di Reggio Emilia. In particolare, dopo le indagini patrimoniali, il Nucleo di polizia economico finanziaria di Reggio Emilia, ha confiscato, tra le altre cose un fondo pensione e una villa nella città emiliana, per un valore complessivo pari a 628.237,65, cioè l’importo non versato allo Stato.
Secondo quanto riferito dalle fiamme gialle la donna, amministratrice di diritto di una società che gestiva palestre, ora in fallimento, è nota per essere la moglie di un fiancheggiatore di ‘ndrina Grande Aracri, una cosca malavitosa di N’drangheta capeggiata da Nicolino Grande Aracri. Il nome del marito, in particolare, è emerso durante l’inchiesta Aemilia per il cosiddetto “affare Sorbolo”. L’inchiesta Aemilia, si ricorda, a gennaio del 2015 ha svelato il radicamento trentennale di ‘Ndrangheta in Emilia Romagna e ha portato al più grande maxiprocesso per mafia al Nord. L’uomo appare tra i primi investitori del denaro impiegato, di fatto, dallo stesso Nicolino Grande Aracri.