di Andrea Taffi

Elezioni politiche 2008. Da una parte il centrodestra a monarchia assoluta Silvio Berlusconi, re (in)discusso di un modo di fare politica destinato a permeare di sé il futuro modus operandi dei politici a venire. Dall’altra parte dello schieramento lui, Walter Veltroni, leader non del centrosinistra, ma della sinistra, di tutti coloro che si fasciano di un’unica bandiera attorno alla quale si stringono con l’orgoglio della resistenza. Quella bandiera è quella del Pd, appena nato, partorito e battezzato proprio da lui, da Veltroni.

Le speranze sono tante, le forze un po’ meno, ma il desiderio di un’Italia nuova, di un’ultima barriera prima del baratro, è forte e spinge tanta gente al voto. Il nome di Berlusconi, dell’avversario non viene mai citato: è una battaglia contro un sistema, non contro un uomo. Non è una demonizzazione è una ristrutturazione dopo la presenza a palazzo Chigi di un inquilino non troppo attento alle cose pubbliche. Veltroni è eroico (almeno così è parso a me), ma non ce la fa: perde.

La berlusconizzazione del Paese, già iniziata nel 1994 trionfa e si completerà, polverizzando quel poco di morale politica che si era riusciti a mettere da parte. Ecco, questa campagna elettorale estiva mi ricorda quella del 2008. Non ci sono più quei protagonisti, Berlusconi conta molto, molto meno di allora (ma attenzione: è ancora lì). Adesso il Pd è quello di Enrico Letta e la destra quella della Giorgia Meloni e di Matteo Salvini. Eppure anche adesso, come allora, mi sembra che ci sia una sorta di chiamata alla resistenza.

Perché mentre nel 2008 la berlosconizzazione definitiva era il problema, oggi il dramma è la deriva fascistoide del paese. Una destra che strizza l’occhio a un nuovo ordine mondiale trasversale che parte da certi oligarchi russi finanziatori di un ultraccattolicesimo radicale statunitense. Una destra in tailleur che rischia di portare a galla certa destra in mimetica dalla quale solo a parole vengono prese le distanze. Non è più, quella della Meloni, la destra di Almirante, fascista e basta.

No, è una destra apparentemente moderna, che però rischia infiltrazioni fascistoidi nel senso ampio del termine, una sorta di pensiero autoritario subdolo, ma non meno violento del manganello. Non si tratta più di semplice politica, ma di pensiero politico, di filosofia politica direi. Un pensiero, una filosofia che non è possibile fronteggiare con la teorica di carta velina degli schieramenti, delle agende politiche e delle alleanze, ma con un pensiero politico profondo capace di contrapporsi a quello delle attuali destre, non solo italiane. Nel 2008 Veltroni cercò di combattere un pensiero simile, anche se meno subdolo e nascosto. Allo stesso modo, oggi Letta e gli altri dovrebbero capire la deriva che ci aspetta, lasciar perdere quello che è stato e occuparsi di quello che sarà.

Ecco, forse è questa sfida la vera unità nazionale, quella che mira a unire un pensiero politico apertamente democratico in contrapposizione a un altro subdolamente e nascostamente autoritario. E questo compito, ancora una volta, spetta al Pd. Letta, citando uno dei tanti Rocky, ha parlato di una campagna elettorale da fare con gli occhi della tigre. Non basta (mi permetto di dire): ci vogliono anche il cuore, la forza, la determinazione della tigre, ci vuole quella istintiva intelligenza di un animale che lotta per la sopravvivenza.

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