Il microbiologo Roberto Rigoli nel 2020 era stato indicato come il padre dei tamponi rapidi, un metodo di accertamento diagnostico del Covid che il governatore Luca Zaia aveva esibito come un fiore all’occhiello della sanità veneta nell’individuazione dei casi infetti. Era l’epoca della guerra dei tamponi, viste le contestazioni scientifiche da parte del professore Andrea Crisanti, secondo cui le diagnosi corrette erano solo quelle dei tamponi molecolari, mentre i test rapidi impedivano di intercettare una percentuale significativa di “positivi”. A distanza di due anni la Procura di Padova ha chiesto il rinvio a giudizio di Rigoli, microbiologo, ora alla direzione dei Servizi sociali dell’Usl 2 Marca trevigiana. Secondo l’accusa avrebbe accertato falsamente la validità dello strumento diagnostico. Nell’inchiesta è coinvolta anche Patrizia Simionato, che all’epoca era direttore di Azienda Zero, il braccio operativo della giunta regionale che gestisce la sanità veneta. Fu lei che firmò la delibera con cui il Veneto aveva comprato circa mezzo milione di tamponi, per un valore di due milioni di euro.
Questa l’ipotesi d’accusa: “Avendo avuto Rigoli la richiesta di confermare l’idoneità tecnico scientifica dei campioni del prodotto offerto dalla ditta Abbott Rapid Diagnostic srl, relativamente ai test rapidi, comunicava alla Simionato e attestava falsamente di aver effettuato l’indagine scientifica asserendo falsamente di aver ‘provato il kit Abbott su alcuni soggetti’”. C’è poi un secondo fatto: “Rigoli chiedeva di procedere immediatamente all’acquisto di 200mila test”. Tutto questo “nella piena consapevolezza della Simionato circa il fatto che Rigoli non avesse ottemperato ad adempiere quanto prevedeva l’avviso di ricerca di mercato”.
Secondo quanto riportato dal settimanale “L’Espresso”, le ipotesi d’accusa riguardano i reati di falsità ideologica in atti pubblici commessa da pubblico ufficiale e turbativa nel procedimento di scelta del contraente. Nascono dal fatto che Rigoli non avrebbe verificato l’idoneità dei kit. L’interessato sostiene che non era richiesta, né necessaria, visto che si trattava di prodotti già autorizzati. “Ho ricevuto la notificazione della richiesta di rinvio a giudizio con la fissazione di una udienza preliminare. In relazione all’accusa che mi viene mossa, desidero precisare – fa sapere Rigoli – che ritengo di avere operato nello svolgimento della mia attività con il massimo scrupolo e nell’esclusivo interesse della collettività. Come risulta dalla documentazione amministrativa relativa al bando di gara e da molti altri elementi di indagine raccolti, nella procedura per l’acquisto dei test rapidi per la rilevazione dell’antigene Covid 19 del mese di agosto 2020, mi era stata domandata una verifica documentale della corrispondenza tra le caratteristiche tecniche richieste dall’avviso pubblico e le schede tecniche dalla casa produttrice. Effettuavamo poi anche una valutazione sull’idoneità tecnica complessiva del kit che conteneva il test rapido (cioè la sua idoneità ad essere impiegato con facilità dagli operatori nel contesto emergenziale in atto). Non era invece stata richiesta un’autonoma valutazione scientifica sull’attendibilità delle specifiche tecniche dichiarate dalla casa produttrice del test”.
Nega quindi di aver effettuato (perché non dovuta) una valutazione di attendibilità. “Tale indagine sarebbe stata del resto impossibile da svolgere, da un lato poiché avrebbe richiesto uno studio dai tempi incompatibili con quelli ristrettissimi dettati dall’emergenza sanitaria e, dall’altro, i prodotti erano già stati oggetto di controllo e certificazione da parte degli enti competenti, anche internazionali. Questi test – già utilizzati negli Stati Uniti – si sono poi rivelati utilissimi per il controllo della pandemia, sono stati venduti in tutto il mondo e ancora sono utilizzati”. Rigoli sottolinea la necessità di decisioni rapide: “Nel corso delle indagini preliminari ho ampiamente spiegato il mio operato in un contesto di emergenza che mi ha visto, insieme a molti altri operatori sanitari, in prima linea, senza mai risparmiare le energie profuse per la salvaguardia della salute dei cittadini. Confido che già all’udienza preliminare sarà possibile chiarire ogni aspetto della vicenda e appurare la correttezza del mio operato”.
“Emerge già oggi, senza necessità di un processo, come la stessa si sia sempre comportata con i soli obiettivi di tutelare la salute pubblica – afferma l’avvocato Alessandro Moscatelli, legale di Simionato – per i cosiddetti ‘tamponi rapidi’, sperimentati tra la prima e la seconda ondata Covid e di preservare gli interessi della pubblica amministrazione. La dottoressa Simionato non ha commesso alcun reato”. Questo perchè “non spettava alla dottoressa Simionato né ad altri indagati verificare le caratteristiche del tampone rapido della Abbot distribuito ed usato in 120 paesi in tutto il mondo anche attraverso il Global Fund, l’Organizzazione Mondiale della Sanità”.
L’inchiesta è un effetto della diatriba che vide il professor Crisanti contestare duramente l’impostazione della Regione, che privilegiando i test rapidi non intercettava almeno un terzo dei positivi. Per quella posizione Crisanti venne criticato dalla Regione, che mise in dubbio il fatto che avesse eseguito una rilevazione diagnostica a sostegno del suo assunto. Dopo di allora Crisanti venne messo ai margini della task-force impegnata nella guerra al Covid, pur continuando la sua attività di ricerca e di diagnosi. Crisanti dichiarò che il suo laboratorio non avrebbe mai più refertato tamponi rapidi. Il caso divenne politico. La Regione decise di acquistare alcune centinaia di miglia di test rapidi e le ordinazioni vennero effettuate da Azienda Zero. Adesso l’inchiesta del sostituto procuratore Benedetto Roberti è arrivata all’epilogo.
“Nessuno ha mai pubblicato i dati che confermassero la bontà dei test rapidi. Io, però, i dati li avevo e dicevano tutt’altro. Li ho diffusi e sono stato accusato di ogni nefandezza“. Questo il commento di Andrea Crisanti. “Nel 2020 ho presentato un esposto, non contro il dottor Rigoli, ma contro i test rapidi, che non dovevano essere utilizzati per lo screening, perché fornivano un numero troppo elevato di ‘falsi negativi’. Andavano bene soltanto per la diagnosi, poiché, tra i sintomatici, questi test avevano un valore predittivo positivo molto elevato. Erano attendibili solo con i sintomatici“.