di Martina Basso*
Gentile redazione,
sono una docente di Lettere nella scuola media. Vi scrivo per denunciare la mia incivile condizione professionale, che è poi quella di tanti colleghi.
Mi sono laureata in Filologia moderna col massimo dei voti all’università di Padova nel 2015, ho iniziato a insegnare già l’anno successivo. Serve precisare che il sistema nazionale d’istruzione è costituito dalla scuola statale e dalla scuola paritaria privata e degli enti locali, io attualmente sono in servizio da tre anni presso l’istituto vescovile A. Graziani di Bassano del Grappa (VI). Credo fermamente nella vocazione confessionale del mio luogo di lavoro e l’ho scelto con consapevolezza rifiutando ogni anno scolastico le convocazioni dalla pubblica amministrazione.
Tuttavia, nonostante 6 anni di servizio e 32 d’età, sono ancora precaria; difatti, ogni anno scolastico, il mio contratto termina il 30 giugno. La normativa in materia occupazionale, infatti, prevedrebbe la trasformazione del contratto a tempo indeterminato dopo soli 12 mesi di impiego. Eppure, la legge sulla parità scolastica impedisce alle scuole paritarie di assumere a tempo indeterminato docenti sprovvisti di abilitazione. Ma lo Stato non attiva percorsi abilitanti dal 2014, prima che mi laureassi. Nel 2020 fu indetta una procedura abilitante straordinaria, che purtroppo ancora non è stata espletata.
Nel mentre, dalla stessa legge si tenne il concorso straordinario per assumere a tempo indeterminato i colleghi statali. Di fatto, avvenne una prima discriminazione tra docenti con uguale diritto a un canale riservato di stabilizzazione rispettivamente nella pubblica amministrazione e nel privato. La disuguaglianza si è ulteriormente aggravata negli ultimi due anni, con un secondo concorso straordinario per i soli colleghi statali, senza una procedura riservata ai precari di scuola paritaria con uguale diritto. Di recente, inoltre, la riforma Bianchi ha definito la non equiparazione del servizio paritario a quello statale, dato che soltanto i 3 anni di servizio statale ammetteranno ai prossimi concorsi ordinari. Infine, la Consulta ha dichiarato giuridicamente differenti il servizio statale e il paritario, asserendo che non si tratti dello stesso mestiere. Intanto, mio marito, pure insegnante precario, ha lanciato una petizione al Parlamento europeo per denunciare questi trattamenti iniqui alle autorità sovrannazionali e sta attendendo la risposta della Commissione europea.
L’unica soluzione finora attuata dallo Stato, con gravissimo ritardo, è stata il concorso ordinario (quindi accessibile a qualunque laureato) bandito nel 2020 e svolto nel 2022: una lotteria di cinquanta domande a crocette sullo scibile umano in cento minuti, che scandalizza per gli strafalcioni commessi dalla Commissione nazionale redigente i quesiti. Io rientro, mio malgrado, nel 90% dei ritenuti non idonei all’insegnamento da quello che è stato il peggior quiz televisivo: a proposito, si legga l’appello contestatorio dei docenti universitari coordinati dal professor Massimo Arcangeli, in cui si accusano l’ipernozionismo dei test, le fonti web con nessun valore scientifico da cui sono stati tratti, l’erroneità e l’ambiguità delle domande, le anomalie tra i diversi turni di svolgimento della stessa classe di concorso, le irregolarità commesse da alcune commissioni di sorveglianza.
Come dicevo, la mia storia è quella di tanti colleghi, statali e privati. Una vita nella precarietà occupazionale, economica, personale e familiare. Quotidianamente ci si riempie la bocca di disparità di genere, di sostegno ai giovani e alle famiglie, di ripresa nel lavoro; ebbene, che ne è dell’orologio biologico di una donna se a trentadue anni una famiglia di “giovani” ancora non intravvede la stabilità lavorativa perché lo Stato elude le sue stesse leggi di settore? È troppo chiedere il rispetto del proprio diritto umano al lavoro, all’abitazione, alla famiglia, alla maternità?
Per sensibilizzare il Parlamento e il governo alla ricerca di una vera soluzione a questa piaga economicosociale, il comitato “Nessun precario resti escluso” ha elaborato in questi giorni una proposta, la quale verrà inoltrata all’amministrazione e ai politici. Si tratta di una procedura riservata a tutti i precari con almeno tre anni di servizio statale e/o paritario, diversificato nello scopo: il ruolo statale per i colleghi statali, l’abilitazione e la stabilizzazione nel privato per i docenti della scuola paritaria. Si tratta di trovare valide e possibili soluzioni ai problemi reali delle persone reali. A noi precari non interessano i giochi di palazzo nella recente crisi dell’esecutivo! Noi esistiamo e lo Stato ha il dovere morale di tutelarci. Perciò, lancio una provocazione al Parlamento e al Governo: quella del comitato “Nessun precario resti escluso” sarà soluzione troppo equa e pratica per essere accolta?
Ringrazio la redazione per la condivisione e la diffusione.
Cordiali saluti,
Martina Basso
non più professoressa dal 30/06 (come da sei anni ormai)