Trent’anni fa un gruppo di ricercatori dell’Università di Parma scopriva i neuroni specchio. Poche scoperte hanno generato lo stesso impatto sulle nostre vite: dalla riabilitazione delle paralisi spastiche nei bambini, alla psicologia, all’educazione, alla prevenzione della salute mentale. Ogni volta che stiamo imparando qualcosa i neuroni specchio sono in azione. Saperne di più ci aiuta a imparare meglio e ad adattarci alle situazioni difficili che incontriamo nella vita.
Pochi giorni fa si sono celebrati i quarant’anni dalla vittoria dell’Italia ai mondiali di calcio dell’82 e quasi tutti noi sappiamo a memoria i nomi dei calciatori che vinsero la coppa. Sono invece sconosciuti al grande pubblico gli scienziati che scoprirono i neuroni specchio. La squadra era coordinata da Giacomo Rizzolati e composta da Luciano Fadiga, Leonardo Fogassi, Vittorio Gallese e Giuseppe di Pellegrino. Ricercatori di cui il nostro paese può essere orgoglioso.
In un mondo in cui i disturbi della mente sono pervasivi possiamo permetterci di ignorare le neuroscienze?
Quando siamo piccoli impariamo cose difficilissime grazie all’apprendimento per imitazione. Impariamo a parlare una lingua senza andare un giorno a scuola ma “imitando” i suoni pronunciati da chi si prende cura di noi. È solo un esempio di come i neuroni specchio ci permettono di imparare e adattarci all’ambiente in cui siamo immersi. Oggi che viviamo in una vera e propria epidemia dei disturbi dell’apprendimento, e più in generale, della sofferenza mentale possiamo ignorare possibilità che ci derivano da scoperte come questa?
Dagli studi sul cervello stimoli per supportare i giovani a scuola e non solo
Pochi giorni fa sulla rivista Trends in cognitive science è stato pubblicato uno studio che ripercorre la storia scientifica dei neuroni specchio in questi ultimi trent’anni anche per capire come oggi possiamo sfruttare questo patrimonio di conoscenze. Per esempio, nel campo della prevenzione della salute mentale, ne parla in questo video Vittorio Gallese, uno dei primi scopritori dei neuroni specchio, e tra gli autori di questo recente studio:
Se la vittoria ai campionati di calcio dell’82 resta in bacheca, dalle neuroscienze arrivano strumenti che possono sostenere i giovani in un tempo in cui i disturbi legati alla salute mentale sono pervasivi. La situazione, che era già grave prima della pandemia, dopo non ha fatto altro che peggiorare. Lo sa bene chi insegna, o ha un figlio che va a scuola.
Non è buonismo mettere l’empatia al servizio delle competenze
A scuola questo tipo di conoscenze è decisivo. Per esempio sono innumerevoli le fonti che ci dicono che saper creare un ambiente accogliente ed empatico a scuola non è affatto un messaggio buonista che va a discapito dell’acquisizione delle competenze ma, anzi, la favorisce. Con tanti saluti ai nostalgici dell’insegnante autoritario del tempo che fu.
Non sono opinioni, ma evidenze fisiologiche che ci mostrano come il cervello impara meglio in un contesto relazionale accogliente. Da qui emergono indicazioni per la politica (diminuire il numero di alunni per classe non è un optional!) e prassi didattiche specifiche per sviluppare una maggior empatia nella relazione con gli alunni e per aiutarli a trovare maggior motivazione e concentrazione.
Anche dai banchi di scuola può iniziare la prevenzione della salute mentale
In questi giorni si parla molto di formazione e aggiornamento rispetto al mondo della scuola e anche il Fatto Quotidiano annunciando il suo nuovo progetto di “Scuola, senza confini” va in questa direzione. Nonostante il contesto stia cambiando velocemente mi pare che ancora poco o nulla vada verso l’adozione di di pratiche didattiche validate dalle neuroscienze a scuola. Migliorare l’ambiente emotivo in cui si impara, senza rinunciare allo sviluppo delle competenze, permetterebbe da subito di avviare quella che è una vera propria azione per fare prevenzione della salute mentale di massa. Possiamo permetterci di farne a meno?