I governi passano, i problemi restano. Quelli che trasformano il lavoro in sfruttamento, poi, sono particolarmente duri a morire, come racconta Giorgio DellʼErba, dirigente del coordinamento nazionale dellʼUnione sindacale di base (Usb), da quindici anni ispettore dell’Ispettorato nazionale del lavoro (Inl) e assolutamente certo di una cosa: “Tra lavoro nero e lavoro grigio, il sommerso è la prima forza produttiva del Paese”. Dalle singole violazioni per lucrare sui contributi non pagati, dove sono rare le denunce e limitato l’effetto deterrente dei controlli, a fenomeni come quello dell’esternalizzazione selvaggia dei servizi e della somministrazione fraudolenta di manodopera, che ormai inquinano i settori più disparati “e il risparmio sul costo del lavoro si fa eludendo oneri retributivi, contributivi e fiscali”, spiega l’ispettore. Sa quanto le regole, a volerle riformare, cambierebbero la vita a tanti lavoratori, impedendo illeciti e garantendo il recupero di imposte e diritti. Ma non si fa troppe illusioni, perché lo stesso Ispettorato del lavoro è sotto organico “e nonostante i carichi di lavoro in aumento siamo gli unici dipendenti ministeriali esclusi dall’adeguamento in busta paga”. Una delle tante partite che dovranno attendere, ora che il governo di Mario Draghi non è più in carica.
L’Italia del lavoro grigio tra stagionali e intermittenti – Nei primi quattro mesi del 2022 le assunzioni attivate da datori privati sono aumentate del 48% rispetto allo stesso periodo del 2021. In particolare, rileva l’osservatorio sul precariato dell’Inps, gli aumenti hanno riguardato tutte le tipologie contrattuali, con le assunzioni a tempo indeterminato salite del 43% e quelle a tempo determinato del 38%. Più consistente il dato che riguarda i contratti intermittenti (+113%) e le assunzioni stagionali (+146%). Insomma, il mercato del lavoro riprende fiato dopo i due anni di pandemia. Ma l’aria che respirano i lavoratori è decisamente più precaria. “Proprio tra stagionali e intermittenti del commercio e del settore turistico il fenomeno del falso part-time è ormai sistemico”, denuncia Dell’Erba. La dinamica: “Il lavoratore viene regolarizzato per un numero di ore inferiori salvo poi trovarsi a lavorare anche 14 ore al giorno”. Meno noto è il fatto che le denunce, quando ci sono, “saltano fuori soprattutto quando il matrimonio è già finito, a rapporto di lavoro terminato”. Un problema che limita le capacità di intervento: “Dobbiamo ricostruire i rapporti nel passato, fare accertamenti ex-post. A volte è un diverbio col datore ad anticipare un po’ i tempi: ci si dimette e poi si va all’Ispettorato facendo emergere violazioni che vanno dalla incongruità dell’orario a violazioni sul mancato riposo, col dipendente a servizio 7 giorni su 7 se non 30 su 30”. Quanto al resto, “le persone che si autodenunciano mentre lavorano sono estremamente rare”. Per il datore ci sono sanzioni amministrative “modulate in base al numero dei lavoratori e limitate ai mesi di violazione: si accertano le ore effettive e si va al recupero dei contributi non versati”, spiega. “Ma si deve anche verificare che non ci sia elusione retributiva, capire se ci sono stati pagamenti percepiti in nero da sanzionare, anche attraverso testimonianze che però non è scontato ottenere”. L’ispettore non lo nega: “L’effetto deterrente è limitato e dipende essenzialmente dal numero dei controlli, ma gli ispettori in Italia sono talmente pochi che mettere a tutti il fiato sul collo è impossibile”. E rilancia: “Più utile sarebbe fare prevenzione, con deterrenti che vengano da nuove leggi, da un ripensamento di questo tipo di rapporti”.
La somministrazione fraudolenta di manodopera – Allo stato attuale, ragiona il dirigente, “inseguire il piccolo imprenditore e questo genere di violazioni non è sempre possibile e forse non è il miglior modo di allocare le limitate risorse a disposizione”. Secondo le stime per il 2021 dello stesso Inl, il giro d’affari dell’economia sommersa vale almeno 200 miliardi di euro. “Bisogna prima di tutto intervenire sulle grandi attività”, riflette Dell’Erba, che tra le priorità mette la lotta alle esternalizzazioni fittizie di manodopera, accordi che apparentemente appaltano un servizio e invece nascondono la fornitura di lavoratori allo scopo di risparmiare sui costi del lavoro. “Gli ambiti sono soprattutto quelli dei servizi alla persona e alle imprese, con settori come logistica, trasporto, metalmeccanica, artigianato e non solo”, racconta. “Per la somministrazione di manodopera devi essere una società autorizzata, invece spesso le aziende private usano gli appalti per nascondere quella fraudolenta”. Ad aggravare il problema, secondo l’ispettore è la mancanza di limiti all’esternalizzazione dei servizi, che impediscano l’affidamento ad altri di un’intera filiera produttiva, “pratica che favorisce la speculazione”. E spiega: “Io posso appaltare tutti i servizi di una struttura alberghiera, consegno l’albergo a chi mi gestirà tutto, una ditta esterna che, incassato l’appalto, può imporre ai propri dipendenti un finto parti time o il contratto più conveniente di un’altra categoria professionale”.
Chi viola le norme rischia ancora troppo poco – “Piegando in questo modo il sistema degli appalti il committente è contento perché si tiene i soldi dei clienti che continuano a pagare per un servizio che a lui adesso costa meno”. La legge prevede che per le violazioni di natura retributiva e contributiva il committente sia chiamato a rispondere in solido con l’appaltatore. “Ma negli anni molte fattispecie sono state depenalizzate, mentre altrove la sanzione penale è per lo più di tipo contravvenzionale. Anche nella somministrazione fittizia, poi, gli imprenditori già mettono in conto i rischi e chi viene beccato può chiudere tutto già in fase di ispezione, pagando una sanzione e interrompendo l’appalto ed evitando così il processo”. Cosa serve? “Ci vuole una legge che inasprisca le sanzioni o le riporti in seno alla disciplina penale”. Perché nonostante l’Ispettorato imponga al vero datore l’assunzione di tutti i lavoratori, la sensazione di Dell’Erba è che “si riesca a incidere poco su un fenomeno che in molti casi è spinto fino all’estremo, a eludere del tutto la denuncia dei rapporti di lavoro”. Come nei casi delle finte agenzie del lavoro che vincono appalti garantendo risparmi fino al 40%. “Ce ne siamo accorti perché i lavoratori andavano a fare l’estratto conto dell’Inps e si rendevano conto che la società non aveva nemmeno denunciato gli imponibili contributivi. Da lì la scoperta che la società per cui lavoravano era fittizia ed esisteva al solo scopo di abbattere i costi del lavoro”.
La questione mai risolta del dumping contrattuale – Sempre secondo l’Inl, un terzo del giro d’affari del sommerso, pari a 76 miliardi di euro, è sotto forma di vizio del rapporto contrattuale”. Ma come non c’è solo il lavoro nero, nemmeno quello grigio, che dietro a un rapporto legale nasconde elusione retributiva e contributiva, esaurisce la casistica. Dell’Erba racconta di una ditta che ha appaltato tutto il servizio di trasporto e montaggio dei proprio prodotti. “Abbiamo poi scoperto che le società appaltatrici applicavano il contratto collettivo Multiservizi, un contratto usato in altri settori, proprio di servizi come quelli di pulizie, e più conveniente rispetto al ccnl Trasporti e Logistica”. E’ il famoso dumping contrattuale, che ormai non riguarda solo i cosiddetti contratti “pirata”, ma anche quelli sottoscritti dalla sigle datoriali e sindacali più rappresentative. “Applicando il ccnl Multiservizi il committente ci ha guadagnato perché prevede retribuzioni più basse e istituti contrattuali meno favorevoli del ccnl Trasporti e Logistica”, spiega Dell’Erba, che in questo senso chiede più protezione per i lavoratori “e l’obbligo per le aziende di applicare i contratti coerenti con la categoria professionale”. Un obiettivo che poteva essere centrato dal governo di Mario Draghi con la proposta del ministro del Lavoro Andrea Orlando che puntava a imporre l’estensione, settore per settore, dei ccnl più rappresentativi, per mettere fuori gioco i contratti “pirata” e in generale impedire l’applicazione di contratti impropri. Con la crisi di governo viene tutto rinviato per l’ennesima volta.
Una precarietà che mina sicurezza e salute – “Si tratta di pratiche che riguardano soprattutto i settori dove il turnover è molto spinto e quando i rapporti sono a breve o brevissimo termine ne risente anche la sicurezza sul lavoro”, aggiunge l’ispettore. “Per tante aziende i primi costi da abbattere sono proprio quelli legati alla sicurezza e gli appalti servono anche a questo, a garantire al committente che il rischio se lo carichi un altro”. I dati appena usciti dall’osservatorio sulla precarietà dell’Inps indicano che l’aumento dei rapporti di lavoro rispetto allo scorso anno riguarda soprattutto quelli brevi e precari. “La conseguenza della precarietà non è solo la flessibilità del lavoro, c’è un effetto diretto sulla sicurezza e sulla salute dei lavoratori, a partire dalla mancanza di formazione che sui contratti brevi o brevissimi salta praticamente del tutto e che il lavoratore non denuncia perché in attesa di un rinnovo o comunque di un altro impiego nello stesso settore: è sotto ricatto“. Problema al quale in questi anni si è sommata la carenza di organico nell’Inl, sia sul fronte ispettivo che amministrativo. “C’è un numero emblematico, quello degli ispettori tecnici proprio in materia di salute e sicurezza del lavoro: in tutta Italia non sono più di 200, con province intere prive di queste figure o sedi dell’ispettorato con un solo ispettore tecnico per migliaia di aziende”.
Il numero degli ispettori è insufficiente – Il problema è stato in parte affrontato dal governo Draghi, e per quest’anno è finalmente prevista l’immissione di nuovi dipendenti dell’Inl. “Vedremo, ma si tratta di colleghi che devono appena formarsi”, avverte Dell’Erba. Quanto al migliaio di nuovi ispettori tecnici, il bando per la loro assunzione non prevede più una formazione specifica e per questo ha destato molte polemiche. E altrettanto ha fatto la soluzione tampone che ha allargato le competenze su salute e sicurezza anche agli ispettori ordinari e a quelli di Inps e Inail, scatenando l’agitazione dei dipendenti degli enti. Un modo di correre ai ripari che solleva dubbi sulla possibilità di un’unica figura professionale, quella dell’ispettore del lavoro dell’Inl, di occuparsi di tutto a fronte di una materia fin troppo vasta. In attesa di vedere cosa accadrà e quali saranno le scelte del prossimo governo, ad oggi lo stato dell’arte non è cambiato. “Siamo in fortissimo sotto organico, soprattutto nei grossi uffici di Roma, Napoli, Milano. Ci sono settori produttivi in zone forti come Brescia o Bergamo dove gli ispettori sono pochi, il problema si sente di più ed è facile che la carenza nell’organico ispettivo si trasformi in mancanze verso l’utenza. Per non parlare dei colleghi dei reparti amministrativi dove in meno di cinque anni abbiamo perso il 40% dei dipendenti”. Di più c’è una questione che il dirigente ci tiene a ricordare: “Se trovo due lavoratori con lo stesso contratto ma trattamento economico differente devo procedere a una segnalazione. Eppure noi ispettori del lavoro siamo gli unici esclusi dall’adeguamento delle buste paga varato per tutti i dipendenti ministeriali a fine 2021 dal governo”, denuncia. Dopo agitazione e scioperi, a impegnarsi è stato il loro datore di lavoro, il ministero di Orlando. Ma per ora l’unica cosa accordata è una integrazione una tantum per i restanti mesi dell’anno in corso. “Niente di strutturale, insomma”. L’intervento per riconoscere loro la perequazione già riconosciuta a tutti i lavoratori con lo stesso contratto andrebbe inserito nella legge di bilancio, arretrati compresi. Ma con Draghi che va a casa gli impegni presi rischiano di saltare. “Ennesimo tassello di una giungla di problemi irrisolti che la dice lunga sull’attenzione dell’Italia verso i diritti del lavoro e chi deve controllarne il rispetto”.