Per le autorità colombiane e le Nazioni Unite, il cooperante si sarebbe tolto la vita con un lenzuolo ma sono molti i punti della vicenda che continuano a non essere chiari. Dal rapporto emergono altri particolari, cioè che alcune ferite potrebbero essere state inflitte quando il cooperante era in uno stato agonizzante oppure già morto
“Mario era un amante della vita, mai avrebbe fatto un gesto autolesivo. Non abbiamo mai creduto all’ipotesi del suicidio sin dai primissimi istanti in cui ci fu comunicata la notizia della morte di nostro figlio”. Così parlano a Ilfattoquotidiano.it Anna Maria e Giuseppe Paciolla, i genitori di Mario Paciolla, il cooperante italiano ritrovato morto il 15 luglio 2020 nella sua casa a San Vicente del Caguán, nel dipartimento di Caquetá, in Colombia. Dipendente operativo della missione di verifica delle Nazioni Unite nel Paese, era stato trovato impiccato al soffitto della sua casa con un lenzuolo in un apparente scenario di morte autoinflitta. “Abbiamo capito che l’Onu voleva chiudere la partita immediatamente, chiedendoci da subito se volevamo la restituzione del corpo”, proseguono.
Per le autorità colombiane e le Nazioni Unite, il cooperante si sarebbe tolto la vita con un lenzuolo ma sono molti i punti della vicenda che continuano a non essere chiari. Nuovi dettagli sono emersi grazie a un articolo, pubblicato sul quotidiano colombiano El Espectador: la giornalista, che conosceva Paciolla e ha seguito l’evoluzione del caso sin dai primi momenti, ha riportato alcuni elementi contenuti nel rapporto della seconda autopsia fatta in Italia dal medico legale Vittorio Fineschi e dalla tossicologa forense Donata Favretto. Il rapporto era stato consegnato alla procura di Roma, che sta conducendo le indagini, nell’autunno 2020 e le autorità italiane hanno mantenuto il riserbo. Questi dettagli certificano che “alcune prove non trovano nessuna spiegazione alternativa nel contesto dell’ipotesi del suicidio, (mentre) supportano prevalentemente l’ipotesi di strangolamento con successiva sospensione del corpo”. Da uno dei documenti sono emersi altri particolari, cioè che alcune ferite potrebbero essere state inflitte quando Paciolla era in uno stato agonizzante oppure già morto. Su quanto trapelato, la famiglia del cooperante mantiene il riserbo.
A non rendere convincente l’ipotesi del suicidio c’è la pulizia della casa di Paciolla, coordinata personalmente dal responsabile sicurezza della missione ed ex membro dell’esercito Christian Thompson che sarebbe entrato nell’appartamento, facendosi consegnare le chiavi dal proprietario colombiano. Il suo nome – insieme a quello del collega Onu Juan Vasquez e dei quattro agenti presenti sul posto – figura nella denuncia che il 15 luglio 2022, a due anni dalla scomparsa del cooperante, la famiglia ha presentato alla Procura generale di Bogotà. “Ci sembra assolutamente anomala e ingiustificabile la scelta dei due funzionari Onu di introdursi in un appartamento, tra l’altro privato perché era concesso in locazione a nostro figlio che ne pagava regolarmente il canone, ripulire la scena del crimine con la candeggina, per gettare poi in discarica prove fondamentali per le indagini. Tutto ciò ha provocato la distruzione e l’occultamento di prove che erano indispensabili per accertare l’omicidio di Mario”, spiegano i genitori di Paciolla. “Ci auguriamo che il nuovo presidente della Colombia possa dare un’accelerata alla risoluzione del caso. Speriamo anche che persone che sanno e che finora non hanno osato farsi avanti, possano collaborare sentendosi più sicuri e liberi di parlare”.
Sulla morte di Paciolla, le Nazioni Unite hanno aperto un’indagine interna ma la famiglia denuncia di “non sentirsi assolutamente supportata dall’Onu” né di “essere al corrente del risultato né se l’indagine è mai stata fatta”. Le Nazioni Unite, inoltre, erano a conoscenza dell’imminente ritorno in Italia del cooperante. Paciolla sarebbe dovuto partire da Bogotà il 20 luglio 2020 e “aveva già un biglietto in tasca e una valigia pronta”. Poco prima di morire, Paciolla aveva riferito ai genitori di essersi scontrato con i capo missione e di non sentirsi sicuro, e proprio Christian Thompson, secondo le ricostruzioni, sarebbe stata una delle ultime persone sentite prima della morte. Paciolla aveva fatto ricerche su un bombardamento, avvenuto il 29 agosto 2019 ad opera dell’esercito colombiano, sull’accampamento di Rogelio Bolivar Cordova, il comandante di una cellula di dissidenti delle Farc, nel quale erano morti anche sette minorenni. Secondo la ricostruzione di El Espectador la notizia della morte dei bambini sarebbe arrivata nelle mani del senatore Roy Barreras, che ha poi ottenuto le dimissioni del ministro della Difesa Guillermo Botero, tramite Raul Rosende, direttore della missione di verifica di Mario. Questo esito avrebbe creato tensioni anche all’interno delle Nazioni Unite.
“Ci sentiamo scarsamente supportati dallo Stato italiano e non abbiamo certezza se davvero si stiano interessando alla triste vicenda di Mario. Solamente il presidente della Camera, Roberto Fico, ci ha incontrati dimostrandoci la sua vicinanza e l’interessamento al caso e il direttore generale per gli italiani all’estero e le politiche migratorie Luigi Vignali ci raggiunge sempre il 15 luglio”, proseguono Anna Maria e Giuseppe Paciolla. Nell’anniversario della sua scomparsa, in molti hanno partecipato alla mobilitazione che la famiglia ha organizzato a Napoli per chiedere verità e giustizia. “Nostro figlio amava Napoli e Napoli amava nostro figlio. Del sacrificio della sua giovane vita resta la testimonianza di un uomo leale che non ha accettato compromessi”.