Il ragazzo era stato trovato in stato di incoscienza e con una corda attorno al collo lo scorso 7 aprile e da quel momento si trova al Royal London Hospital in ventilazione assistita con "gravi lesioni cerebrali". I genitori respingono le diagnosi e i verdetti
La Corte d’Appello di Londra ha respinto la richiesta dei genitori di Archie Battersbee di non “staccare la spina” al figlio, in coma da mesi. “Nostro figlio non deve morire” è l’appello di Hollie Dance e di Paul Battersbee, ma la giustizia inglese non la pensa allo stesso modo e ha rifiutato di ammettere alla discussione giudiziaria l’ennesimo ricorso da parte della coppia.
Archie Battersbee – 12enne inglese originario di Southend, città nel sud-est dell’Inghilterra – era stato trovato in stato di incoscienza e con una corda attorno al collo lo scorso 7 aprile, all’interno della sua abitazione. Secondo la testimonianza della madre, stava partecipando a una pratica divenuta virale sui social, la cosiddetta “sfida del blackout“, che consiste nell’arrivare il più vicino possibile al soffocamento. Da quel momento il 12enne si trova in coma, in ventilazione assistita, con “gravi e irreversibili lesioni cerebrali”.
Secondo i medici del Royal London Hospital dove Battersbee è ricoverato, dal momento che il ragazzo ha subito “una morte cerebrale“, è “futile, non dignitoso ed eticamente doloroso” continuare a tenerlo in vita. D’altro canto la Corte ha riconosciuto come legalmente valide le motivazioni che autorizzano i medici a mettere fine alla vita del 12enne in due sentenze (13 giugno e 15 luglio). Per i dottori il ragazzo non potrà mai uscire dallo stato vegetativo in cui si trova adesso: “Servirebbe solo a protrarne l’agonia verso la morte mentre nessuno è in grado di prolungarne la vita” ha dichiarato Sir Anthony Hayden, il giudice estensore della sentenza di secondo grado del 15 luglio. In quell’occasione l’High Court of Justice inglese aveva autorizzato il personale medico-sanitario del Royal a staccare il ventilatore a Battersbee e a proseguire nel percorso della “morte di Stato” verso chi non è autonomo e non ha prospettive di personale benessere.
Ma i genitori non si sono arresti e hanno contestato ripetutamente diagnosi e verdetti da parte dell’ospedale e dei giudici. La coppia è sostenuta da diversi gruppi “pro life” e da comuni cittadini. Hollie Dance non solo si è definita “devastata“, ma anche convinta, “in quanto mamma”, che il figlio sia ancora in grado di riprendersi, dal momento che le ha “stretto la mano” dal suo letto d’ospedale. Oltre a questo la donna si è detta “disgustata” dall’atteggiamento sia dei medici che dei giudici. “Non accettiamo l’idea che ci sia dignità nella morte. Accelerare il decesso di nostro figlio è la cosa più crudele” ha aggiunto il padre del ragazzo, Paul, fuori dal tribunale.