La caduta del governo Draghi, dovuta essenzialmente all’arroganza del suo discorso, ha purtroppo, nei fatti, rafforzato l’attuale sistema economico predatorio neoliberista.
A lui si era opposto Giuseppe Conte, il quale, dopo essersi speso a suo tempo fino all’ultimo sforzo per combattere l’improvviso avvento della pandemia di Covid-19, ha rivendicato con lodevole insistenza alcuni correttivi importanti all’azione di governo, e principalmente il salario minimo, il reddito di cittadinanza e il super bonus edilizio.
Ma Draghi ha imposto il suo diktat in base al principio della intoccabilità di una formazione governativa di unità nazionale.
Purtroppo nello scambio di accuse sulla individuazione dei responsabili della crisi si è perso di vista l’essenziale e cioè il fatto che Conte aveva espresso l’ultimo sussulto, ben presente nella popolazione italiana, teso a un cambiamento del sistema economico ora dominante, ma i media hanno trascurato quest’aspetto e ora domina incontrastato il principio secondo il quale l’attuale sistema economico predatorio neoliberista deve ritenersi l’unica realtà esistente.
Sul piano politico sono riemersi i personalismi, innanzitutto di Berlusconi, affiancati dai convincimenti populisti di Salvini e della Meloni, mentre molto accesa resta la battaglia per chi sarà il Presidente del Consiglio dei ministri.
In questo settore politico il fatto che viviamo in un sistema economico predatorio che produce diseguaglianze sociali, povertà assoluta, perdita di posti di lavoro, blocco dello sviluppo economico e indebitamento, non è minimamente tenuto in considerazione.
Sul lato opposto della cosiddetta sinistra il Pd di Letta si dichiara strenuo difensore di Draghi, e quindi del più pervicace neoliberista, e cerca di raggruppare intorno a sé, sia le formazioni di centro come Azione di Calenda, sia le altre sparpagliate formazioni cosiddette di sinistra.
In questo quadro quello che colpisce è lo sbandamento, l’incapacità di capire, l’indifferenza e talvolta lo sgomento dell’elettorato, nel quale sono molti quelli che soffrono per la perdita dei posti di lavoro, per il disfacimento dello Stato sociale, per l’aumento dell’inflazione, per i danni provocati dalla guerra in Ucraina e per lo spettro sempre presente dello sconvolgimento climatico della Terra.
Di fronte a tali gravi problemi un punto di riferimento certo, come sempre ho ripetuto, è la nostra Costituzione, secondo la quale è criminale consegnare il mercato soltanto nelle mani di privati, in modo che esso non serva più a fini sociali, come vuole l’articolo 41, comma 3, della Costituzione, ma solo a fini individuali.
È quanto hanno voluto, a partire dall’assassinio di Aldo Moro in poi, quando l’Italia brillava per il suo miracolo economico, alcuni politici ben noti che ora non conviene neppure nominare.
Occorre dunque una nuova formazione politica che riacquisti al Popolo la proprietà pubblica demaniale perduta e rilanci l’intervento dello Stato nell’economia. Le mie speranze restano affidate al nascente movimento Unione Popolare, che ha fatto della Costituzione il suo faro di orientamento.