Già dall’autunno del 2017, mentre in Italia si dibatteva del Piano Nazionale Energia e Clima (PNIEC), era di dominio pubblico che la nazione modello della transizione ecologica mondiale, la Germania, malgrado il formidabile sforzo della Energiewende (la transizione verso un’energia a basse emissioni di carbonio) non sarebbe riuscita a rispettare il suo impegno di riduzione delle emissioni di CO2 come stabilito dagli accordi europei per il 2020. E questo nonostante i traumatici e costosissimi 58 GW di potenziale eolico installato in pochi anni (in Italia attualmente sono circa 11 GW) e 43 GW di solare, che avevano comportato, a tacere degli altri investimenti accessori, un impegno di centinaia e centinaia di miliardi di euro in sussidi.

Il modello tedesco avrebbe poi rappresentato l’ispirazione anche dell’European Green Deal della Commissione Ue, volto a fare dell’Europa il “primo continente climaticamente neutro” entro il 2050. Italia Nostra e otto associazioni ambientaliste avevano presentato al governo un preveggente documento comune (Critica delle associazioni ambientaliste alla nuova SEN | Rete della Resistenza sui Crinali) di forte critica alla Strategia Energetica Nazionale SEN. Nel frattempo, in Germania si è continuato ad installare ulteriori pale e pannelli, rendendo irriconoscibili intere regioni rurali ricche di storia e bellezze paesaggistiche. I dati più aggiornati ci informano che il potenziale eolico tedesco ha superato i 64 GW (on shore 56,93 GW e offshore 7,77 GW) e il fotovoltaico ha raggiunto i 61,94 GW.

Lascia perciò attoniti la notizia che, oggi, la Germania si scopra terrorizzata dalla prospettiva di rimanere senza elettricità e che in tutta fretta riaccenda e faccia funzionare a pieno regime le sue vecchie centrali a carbone, mentre prepara l’opinione pubblica a misure di razionamento. Tutti i giornali europei ne parlano. Ne sia un esempio un editoriale apparso in prima pagina del quotidiano francese Le Figaro uscito il 22 giugno scorso a firma Gaëtan De Capèle Retour du charbon: “Bravo, Mme Merkel!” che dice: “Undici anni dopo avere stupito il piccolo mondo dell’ecologia rinunciando brutalmente al nucleare, la patria dei Verdi scopre ogni giorno che passa l’assurdità di essersi affidata agli elementi atmosferici o a Putin per l’illuminazione, il riscaldamento e il funzionamento delle sue fabbriche. Ormai coperta di pale eoliche, mani e piedi legati al Cremlino, la Germania raramente ha inquinato così tanto. Brava, Signora Merkel!“.

Bisognerebbe domandarsi il perché di questa défaillance tedesca, ma nessuno sembra interessato, perché significherebbe sbugiardare le politiche energetiche dalla Ue e le scelte fatte a suo tempo dal governo italiano nella redazione della nuova SEN e del PNIEC.

Si continua a non menzionare il problema fondamentale, e cioè che eolico e fotovoltaico non sono fonti di energia programmabili. Che non si è fatto un solo significativo passo avanti nello stoccaggio, a costi accettabili, di queste due energie rinnovabili nei momenti in cui producano grandi quantità di energia elettrica. Che si devono creare per forza non uno, ma due sistemi di produzione di energia elettrica paralleli: uno fatto di rinnovabili non programmabili come l’eolico e il fotovoltaico, che godono della priorità di dispacciamento in rete, ed un secondo con fonti programmabili, che alla fine dovrà consistere essenzialmente in impianti a gas a switch rapido, pronto a subentrare immediatamente ogni qual volta gli elementi atmosferici non consentano la produzione di energia. E che entrambi i sistemi vogliono e debbono essere pagati a spese dei consumatori finali, garantendo ad entrambe le filiere produttive rendite superiori a quelli che sarebbero stati i profitti da libero mercato in assenza di interventi dirigistici, indipendentemente dalla domanda complessiva di energia elettrica. Perché il business si tinge di verde, ma non fa sconti a nessuno.

La Germania, dunque, ha creato, ed ora ne paga le conseguenze, il paradosso che più pale eoliche e pannelli si installano, più gas deve essere a disposizione per sostenere un’offerta elettrica che dia garanzia di affidabilità onde evitare pericolosi e drammatici blackout.

La legge della domanda (in aumento non solo nel mercato del gas ma anche delle altre materie prime rese improvvisamente necessarie dalla transizione energetica accelerata) e dell’offerta ha fatto – e sta facendo – il resto: l’aumento fuori controllo dei prezzi dell’energia. Aumenti peraltro già evidenti a tutti nel terzo trimestre dello scorso anno, subito dopo la decisione dell’Ue, nella primavera scorsa, di rendere giuridicamente vincolante l’European Green Deal. L’illusione della Commissione europea di poter fare a meno degli idrocarburi fossili entro il 2050 è stata l’innesco della crisi energetica ed ha anche fornito a Putin una enorme massa di valuta pregiata che gli ha permesso di pianificare ed ora realizzare la sua sconsiderata avventura in Ucraina, in una catena di disastri, apparentemente, senza fine.

Nel frattempo, i finti primi della classe, per cercare di ridurre gli insopportabili costi di questo sistema perverso, producono il 40% di elettricità con il carbone, privilegiando l’uso della qualità più economica e più inquinante (la lignite) e procedendo a scavare miniere a cielo aperto per decine di chilometri quadrati, che inghiottono interi villaggi. Così, ad esempio, la Germania ha avviato quest’anno la nuova centrale a carbone “Datteln-4”, in Nord Reno Wesfalia, per rifornire 100.000 famiglie della regione.

La gravissima crisi, di cui in Europa si stanno vedendo i primi effetti, deve rappresentare un’occasione per ripensare una politica ambientale ed energetica, piena di buone intenzioni ma inefficace perché troppo disancorata dalla realtà, pena l’abbandono, a furore di popolo impoverito, di tutte le politiche di contrasto, adattamento e mitigazione dei cambiamenti climatici.

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