Nel napoletano un padre di 89 anni uccide la figlia ammalata di Alzheimer e poi si toglie la vita. E’ già accaduto in passato ed in alcuni contesti socioeconomici avviene ormai più di frequente. Una tragedia maturata lentamente, giorno dopo giorno, ora dopo ora, nella angosciante solitudine delle mura domestiche. Nel silenzio di un tempo che sembra solo scorrere per dare sofferenza.

Un genitore che uccide un figlio è la più plastica rappresentazione di un blackout totale. Un blackout emotivo e sociale che questo tempo, in alcune situazioni, porta con sé.

Un genitore anziano che uccide un figlio malato è anche un insostenibile ed inascoltabile grido di dolore. Un urlo che dovrebbe squassarci i timpani, un grido che dovrebbe piegarci le ginocchia per il dolore, una voce che dovrebbe indurci al silenzio. Solo il silenzio può accompagnare i nostri pensieri in certe circostanze.

Io non conoscevo quel padre ma riconosco nel suo gesto, come in trasparenza, tanti genitori di figli disabili che vedono trascorrere il tempo senza che nulla cambi intorno a loro. Io non conoscevo quel padre ma so che in tanti dovevamo e potevamo fare qualcosa e non lo abbiamo fatto.

Non mi consola pensare che il Parlamento italiano, nonostante quasi 5 anni di legislatura, tre governi e due ministri della disabilità non abbia fatto nulla per accendere una speranza nel cuore di quel padre. Mi rattrista e mi angoscia sapere che, senza un impegno forte, costante, irriducibile di tanti nulla cambierà.

Nel frattempo il rispettoso silenzio mi sembra l’unica risposta seria a quei farabutti che, a vario titolo, fanno finta di occuparsi dei disabili e delle loro famiglie.
Solo il silenzio.

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