Poco più di un anno per lui arrivò il fine. Era il 31 maggio e la liberazione di Giovanni Brusca, l’uomo che azionò il telecomando che fece esplodere l’ordigno che provocò la strage di Capaci e ordinò lo strangolamento e lo scioglimento nell’acido del piccolo Giuseppe Di Matteo, innescò una lunga e dolorosa polemica per i famigliari delle vittime. Giovanni Brusca, il boss di San Giuseppe Jato fedelissimo del Capo dei Capi di Cosa nostra, Totò Riina, e successivamente collaboratore di giustizia, resta “socialmente pericoloso”. Una valutazione, come scrive la Repubblica, del questore di Palermo Leopoldo Laricchia, che è stata accolta dalla sezione Misure di prevenzione del tribunale del capoluogo siciliano. I giudici hanno stabilito che Brusca debba essere riattivata la sorveglianza speciale. Il mafioso, che ha contribuito con i suoi racconti a conoscere alcuni particolari dei delitti di Cosa nostra, resta quindi sotto scorta nella località segreta dove vive da libero cittadino, ma con le restrizioni previste dalla misura della sorveglianza speciale.

Quando un anno fa tornò libero Maria Falcone disse: “Umanamente è una notizia che mi addolora, ma questa è la legge, una legge che peraltro ha voluto mio fratello e quindi va rispettata. Mi auguro solo che magistratura e forze dell’ordine vigilino con estrema attenzione in modo da scongiurare il pericolo che torni a delinquere, visto che stiamo parlando di un soggetto che ha avuto un percorso di collaborazione con la giustizia assai tortuoso”. Maria Falcone aveva poi aggiunto che “la stessa magistratura in più occasioni ha espresso dubbi sulla completezza delle rivelazioni di Brusca, soprattutto quelle relative al patrimonio che, probabilmente, non è stato tutto confiscato. Non è più il tempo di mezze verità e sarebbe un insulto a Giovanni, Francesca, Vito, Antonio e Rocco che un uomo che si è macchiato di crimini orribili possa tornare libero a godere di ricchezze sporche di sangue“. Durissime erano state le reazioni dei familiari delle vittime della strage di Capaci. Tina Montinaro, vedova di Antonio Montinaro, il caposcorta di Giovanni Falcone, si era detta “indignata, sono veramente indignata. Lo Stato ci rema contro. Noi dopo 29 anni non conosciamo ancora la verità sulle stragi e Giovanni Brusca, l’uomo che ha distrutto la mia famiglia, è libero. Sa qual è la verità? Che questo Stato ci rema contro. Io adesso cosa racconterò al mio nipotino? Che l’uomo che ha ucciso il nonno gira liberamente?”.

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