Ennesima spy story che coinvolge Stati Uniti e Cina. In un rapporto pubblicato ieri dal Senato americano, Pechino viene accusato di aver condotto per oltre 10 anni una campagna di reclutamento del personale impiegato nella Federal Reserve, la Banca Centrale degli Stati Uniti. Obiettivo dell’operazione: ottenere in maniera illegale dati sensibili e informazioni sulla politica monetaria di Washington . Reclutamento forzato con mezzi intimidatori ma non solo. Il rapporto presentato da Rob Portman, senatore repubblicano dell’Ohio, alla Camera Alta del Parlamento americano, afferma che sarebbero stati identificati dalla stessa Federal Reserve– che ha avviato un’ indagine interna- diversi dipendenti con collegamenti con Pechino. In una lettera indirizzata a Portman e pubblicata dal quotidiano economico- finanziario “The Wall Street Journal”, il presidente della Fed, Jerome Powell, manifestando “forti preoccupazioni” per quanto viene denunciato, ha affermato che il personale della Banca Centrale americana non ha accesso ad informazioni sensibili.

La rete di reclutatori – Secondo quanto emerge dal rapporto di martedì, il meccanismo di reclutamento che sarebbe stato messo in piedi da Pechino era semplice e ben collaudato e poteva contare sul cosiddetto “P-Network”, una rete di “reclutatori cinesi” che hanno intessuto rapporti molto stretti con almeno 13 impiegati della Banca Centrale americana, indotti poi a condividere con gli uomini di Pechino informazioni sensibili. Otto le filiali delle Federal Reserve coinvolte nella vicenda. Uno degli aspetti più sconcertanti che emerge dal rapporto, riguarda le modalità con le quali avveniva il reclutamento degli economisti impiegati nella Federal Reserve. Se nella maggior parte dei casi “l’affiliazione” avveniva su base volontaria dietro lauti compensi, in almeno un episodio ciò è avvenuto in maniera coercitiva. E’ questo il caso di un economista della Fed che, nel 2019 durante un viaggio a Shangai,- nel pieno delle tensioni commerciali fra Pechino e Washington-, fu minacciato di finire in carcere se non avesse rivelato dati economici sensibili. Il pericolo rappresentato da Pechino per la sicurezza dell’ istituzione bancaria, però, non è affatto nuovo. La stessa FBI aveva inviato alla Federal Reserve diversi suggerimenti di controspionaggio per difendersi da una possibile infiltrazione cinese. Secondo quanto riporta Al Jazeera, però, la Banca Centrale americana non avrebbe risposto alle sollecitazioni. Il governo di Pechino respinge le accuse etichettandole come “menzogna politica”. Zhao Lijian, portavoce del ministero degli Esteri, ha affermato infatti che il rapporto “non ha basi fattuali” ed è dovuto “alla fobia cinese e alla mania di persecuzione”.

Relazioni Pechino – Washington ai minimi storici La notizia del presunto caso di spionaggio messo in atto da Pechino ai danni dell’Istituzione finanziaria americana, è deflagrata in un momento storico in cui le relazioni fra le due superpotenze sono ai minimi storici. Un rapporto difficile quello fra Joe Biden e Xi Jiping, reso ancora più teso dall’imminente visita della speaker della Camera, Nancy Pelosi in quella che Pechino considera una “provincia ribelle”, Taiwan. Secondo i media cinesi, la visita di Pelosi potrebbe innescare un’escalation militare con Pechino. Il Global Times, quotidiano in lingua inglese del partito comunista cinese, ha affermato che nel caso in cui la visita venisse confermata, Pechino potrebbe inviare i suoi caccia sull’isola. Sarebbe la prima volta dalla fine della seconda guerra mondiale. A quel punto, la risposta militare di Taipei sarebbe inevitabile arrivando così ad un punto di non ritorno. Nel frattempo, il Pentagono ha fatto sapere che, nel caso in cui Pelosi decidesse di partire per Taiwan, le forze americane nell’indopacifico verrebbero mobilitate per creare una rete di sicurezza all’aereo della Speaker della Camera. Tutto ciò avviene alla vigilia della prima telefonata fra Biden e Xi dopo quattro mesi di silenzio.

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