Quando l’Italia vinse i Mondiali nel 2006, molti videro in quel successo una scusa per non affrontare i problemi e le criticità che pesavano sul sistema calcio italiano. Ma quando negli anni successivi cominciarono i fallimenti, dalla doppia uscita della nazionale alla fase a gironi della coppa del mondo fino alla mancata qualificazione al Mondiale, la situazione non è migliorata. Un chiaro simbolo della cronica mancanza di volontà del nostro calcio nell’intraprendere radicali, e talvolta anche impopolari, processi di ristrutturazione. Il risultato è la maggiore vulnerabilità del mondo pallonaro italiano a eventi economicamente devastanti come una pandemia, a causa della mancanza di risorse alternative in grado, quanto meno, di contenere le perdite. Nella prima parte dedicata all’analisi del ReportCalcio 2022 pubblicato dalla FIGC, ilfattoquotidiano.it ha mostrato come l’emergenza sanitaria abbia colpito duramente un sistema già in perdita strutturale. Adesso le attenzioni si spostano sul benchmarking internazionale del calcio italiano, uno strumento di confronto sistematico tra le migliori aziende di un determinato settore. I dati mettono a confronto i risultati dei dieci campionati top europei: Inghilterra, Germania, Spagna, Italia, Francia, Russia, Turchia, Olanda, Portogallo e Scozia.
Stadi e infrastrutture – Nel 2020 il patrimonio netto dei club di prima divisione dei tornei citati sopra è sceso del 9.5%, con un aumento del passivo del 12.9% e dei debiti bancari e commerciali del 22.9%. Tre anni fa, nel 2017, per la prima volta il sistema calcio europeo era tornato a produrre utili, a testimonianza di quanto il Covid-19 abbia sparigliato le carte. Osservando le attività dello stato patrimoniale 2020 delle società dei top 10 campionati emerge tuttavia la prima grande criticità italiana. Ad eccezione della Scozia, l’Italia è il paese con la più bassa percentuale di investimento in stadi e infrastrutture nel decennio 2011-2021 con 638 milioni di euro, pari al 10.36% delle attività patrimoniali totali. La Russia, ad esempio, ha speso circa 200 milioni in meno ma si attesta al 50.7%, il risultato migliore del gruppo. È innegabile come nell’ultima decade il calcio russo sia stato caratterizzato da forti ristrutturazioni e altrettanto cospicui investimenti, in gran parte finalizzati all’organizzazione del Mondiale 2018. Ma, anche guardando i paesi appartenenti alla élite calcistica, le percentuali di investimento in stadi sono come minimo doppie rispetto a quella dell’Italia: 38.6% la Francia, 29.6% la Germania, 28% l’Inghilterra, 24% la Spagna.
Proprietà e debiti – Passando dalle attività alle passività patrimoniali, l’Italia passa da fanalino di coda a seconda classificata riguardo alla percentuale di intervento delle proprietà (leggi ricapitalizzazioni) per coprire i debiti. Nel decennio 2011-2021 il 53.3% delle passività dei club di Serie A è stato coperto da interventi diretti dei proprietari. Tra i campionati top, solo la Francia si avvicina a questi numeri con il 45.3%, nel suo caso zavorrata dal mostruoso (per spese) Paris Saint Germain. L’Inghilterra si attesta sul 32.5%, la Germania sul 23.2%, la Spagna sul 7.4%. La Russia con il 78.9% è un caso a parte, tra oligarchi, sport-washing e coppa del mondo. Nel solo 2020 l’Italia ha ricapitalizzato l’11.6% delle passività, più del triplo rispetto agli altri paesi. La pessima gestione finanziaria della Serie A emerge anche dal conto economico 2020, con una perdita decennale di 2.9 miliardi di euro, un miliardo in più di quella della Premier League, mentre Liga e Bundesliga sono addirittura in attivo, rispettivamente di 800 e 477 milioni.
Ricavi – La Serie A non è l’unico campionato top a vivere al di sopra delle proprie possibilità, ma è quello che possiede meno strumenti per fronteggiare una situazione di emergenza. Le spese della Premier sono fuori controllo, con prezzi per stipendi e cartellini “dopati” dal giro di soldi del campionato più ricco del pianeta, ma tutte le tipologie di ricavi (diritti tv, sponsorizzazioni, stadio) sono il triplo di quelli della Serie A. Nella Liga gli stipendi incidono sui costi complessivi per il 64.8%, un dato più alto rispetto al 57% della A, ma possono permetterselo grazie a ricavi quasi doppi rispetto a quelli delle nostre squadre. Il risultato netto peggiore del conto economico 2020 spetta alla Premier con una media di perdite per club pari a 58 milioni di euro, seguita dalla A con 37 e dalla Ligue 1 con 18. Anche in questo caso, però, se si calcola l’incremento necessario dei ricavi per raggiungere il pareggio, la A avrebbe bisogno di un aumento netto del 26%, contro il 18% inglese e il 17% francese, proprio a causa della maggior difficoltà nel produrre risorse. Oppure, se questo non risulta proprio possibile, alla scarsa volontà di abbattere drasticamente i costi.
Solidità – Ogni campionato ha le proprie peculiarità per la gestione dell’emergenza finanziaria dovuta alla pandemia. La Bundesliga vanta miglior rapporto stipendi/fatturato (59%) d’Europa. La Liga ha adottato una specie di fair-play finanziario per contenere le spese dei club, e infatti l’80% di questi nel 2020 ha prodotto un utile (seconda la Ligue 1 con il 45%, la A è al 25%, la Premier al 20%). La Eredivisie olandese ha chiuso il conto economico in attivo di un milione, forte della minore variazione assoluta del fatturato tra il 2019, annualità pre-pandemica, e il 2020 (-3.3 %, la A è la peggiore con -20.9%), e con il 78% dei club in utile nel player trading. Una solidità che ha permesso alle squadre di ottenere aiuti economici dal governo per fronteggiare l’emergenza, grazie anche a una credibilità gestionale sconosciuta alla maggioranza delle società del nostro campionato.