Politica

Lo scioglimento delle Camere e la vaghissima norma che lo regola: ma non può essere diversa

È passata solo una settimana da quando Sergio Mattarella ha sciolto le Camere, e già sembra un’eternità, per il brulicare di movimenti e sommovimenti politici che sono seguiti. E non c’era dubbio sarebbe stato così: dopo un anno e mezzo di unità (più o meno) nazionale, lo scioglimento è un “rompete le righe” che riavvia il sistema dal pre-gara per il posizionamento iniziale.

In effetti, di tutti i poteri del Presidente della Repubblica, lo scioglimento anticipato delle Camere è il più drammatico, nei presupposti e negli effetti. Ma è anche quello che meglio illumina il ruolo del Capo dello Stato nel sistema. “Organo di moderazione e di stimolo nei confronti di altri poteri – parla la Corte costituzionale, nella sentenza del 2013 sulle intercettazioni a Napolitano –, che esercita le sue funzioni non sostituendosi agli organi politici, ma avviando e assecondando il loro funzionamento, oppure, in ipotesi di stasi o di blocco, adottando provvedimenti intesi a riavviare il normale ciclo di svolgimento delle funzioni costituzionali”.

Quando scriveva questo, la Corte aveva in mente proprio il potere di scioglimento delle Camere: per riavviare – appunto – il normale ciclo costituzionale. Per resettare il sistema, quando si blocca. Riavvia. Reset and restart. Riattivando il canale essenziale della democrazia rappresentativa: quel canale che va dagli elettori al (nuovo, a questo punto) Parlamento.

L’art. 88 della Costituzione si limita a dire che il capo dello Stato, sentiti i loro Presidenti, può sciogliere le Camere o una di essa, salvo che negli ultimi sei mesi del suo mandato (a meno che non si sia già in coda di legislatura). La norma è vaghissima; come ogni altra norma sul Presidente della Repubblica, del resto. Né potrebbe essere diversamente: se vuoi uno che riavvi il sistema quando va in panne, dev’essere uno dalla fisionomia elastica, che possa agilmente infilarsi negli ingranaggi per riavviarli.

In Assemblea costituente c’era stato chi aveva tentato di precisare, limitare, arginare. La primissima formulazione prevedeva un autoscioglimento: sarebbe stata ciascuna Camera a deliberare il proprio scioglimento a maggioranza assoluta, e il Presidente avrebbe operato di conseguenza. Che la cosa non fosse destinata a funzionare granché bene lo si capisce presto, e il tema allora diventa l’individuazione dei motivi che avrebbero potuto legittimamente fondare la scelta del Presidente della Repubblica. La rassegna è ampia: un grave disaccordo tra le Camere del procedimento legislativo; gravi difficoltà tra governo e Parlamento; a un certo punto si propone “una evidente incapacità (delle Camere) ad un regolare funzionamento con un ripetersi troppo frequente di crisi ministeriali“; o ancora: “(quando il Presidente) ritiene che il Parlamento non risponda più alla situazione politica del Paese”. Alla fine, la parola decisiva la dice Tosato, che della nostra forma di governo è il vero autore, il quale – si legge nel resoconto stenografico – “non ritiene che la materia dello scioglimento sia disciplinabile, perché non si possono prevedere tutti i casi in cui lo scioglimento stesso si renda necessario”.

La prassi, in realtà, si assesterà poi principalmente su un solo caso. A parte alcuni iniziali scioglimenti di una sola delle due Camere per pareggiarne la durata (che fino al ’63 era diversa), e a parte il caso più che eccezionale di Scalfaro, che nel 1994 scioglie le Camere dopo “la bomba” del referendum che segnava la svolta verso il maggioritario, i Presidenti hanno sempre sciolto il Parlamento dopo aver certificato l’impossibilità della formazione di nuove maggioranze di governo dopo le dimissioni dell’esecutivo in carica.

È quel “riavvia” di cui si parlava sopra, con le parole della Corte: le Camere non sono in grado di formare al loro interno una nuova maggioranza idonea a sostenere un governo nuovo rispetto a quello dimissionario, e allora, per “riavviare il normale ciclo di svolgimento delle funzioni costituzionali”, non si può che investire i cittadini del voto per un nuovo Parlamento, in grado di esprimere maggioranze nuove.

Un “riavvia” che ha generato una dislocazione delle forze politiche i cui esiti forse sono ancora incerti, ma che finora conferma come – sebbene sia “sempre l’ultima scelta da compiere” – ha ricordato il Quirinale – a questo giro lo scioglimento fosse l’unica scelta possibile dinanzi ad un’ostinata incapacità dell’assemblea rappresentativa.