Estorsioni e narcotraffico, ma anche recupero crediti e un’espansione all’estero, come a Ibiza. L’inchiesta Medoro, coordinata dalla Dda di Milano sul “gruppo mafioso” radicato in Lombardia facente capo alla famiglia Mancuso di Limbadi (Vibo Valentia), si è conclusa con quattro arresti e una chiusura di indagine nei confronti di 27 persone per reati che vanno dall’associazione di stampo mafioso al narcotraffico, dalle estorsioni alle attività illecite legate al recupero crediti.
I carabinieri del Ros, che hanno condotto le indagini, hanno eseguito una serie di perquisizioni. Il gruppo, secondo la Procura, ha “dimostrato la capacità di estendere la propria forza di intimidazione anche al di fuori dei confini nazionali, in particolare nelle isole Baleari”. Dall’attività di indagine è emersa la figura di una avvocatessa che, “ritenendo di vantare un credito di oltre 40mila euro” nei confronti di un piccolo imprenditore della Lombardia, si sarebbe rivolta a tre persone contigue a Cosa Nostra, alla ‘Ndrangheta e alla Sacra Corona Unita. Quest’ultima parte dell’inchiesta è svolta dalla Squadra mobile milanese, i cui accertamenti hanno consentito di dimostrare che la donna si sarebbe rivolta a un individuo vicino alla nota famiglia di mafia Fontana.
Tra gli arrestati c’è Luigi Aquilano, 44 anni, genero del boss Antonio Mancuso vertice della cosca di Limbadi, che avrebbe gestito un bar in via Manara, proprio a fianco al Palazzo di Giustizia di Milano, e da quel locale Rosaria Mancuso, moglie di Aquilano (non indagata) e “figlia del capobastone” della cosca Antonio Mancuso, 84 anni, avrebbe assunto “informazioni” su “alcuni magistrati” che lo frequentavano. Il particolare emerge dalle 850 pagine dell’ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip di Milano Lidia Castellucci. Quel bar, come risulta dagli atti, sarebbe stato acquistato nel 2018 da una società di Aquilano e rivenduto nel dicembre 2020. La circostanza che si trovasse “proprio di fronte all’ingresso di via Manara del Palazzo di Giustizia” faceva sì che fosse frequentato “da magistrati, avvocati, appartenenti” alle forze dell’ordine “e personale impiegato negli uffici giudiziari“. E da un’intercettazione del gennaio 2019 “è emerso come Rosaria Mancuso, approfittando delle generalità riportate sui ticket” dei buoni pasto “avesse consultato fonti aperte per informarsi sulla storia e sulla carriera professionale dei magistrati che sono habitué del loro bar”. E diceva: “Guarda oggi ho preso i ticket di tutti i nomi dei giudici quelli che vengono e mi sono andata a leggere le storie (…) la bionda invece ha fatto processi importanti… e poi uno che è venuto stamattina… praticamente sono andata a vedere… sai in quale processo faceva parte? In quello Why Not! (…) siamo proprio circondati!”. Tra l’altro, il “capobastone” del clan Antonio Mancuso in un’intercettazione si preoccupava per la “posizione” di quel bar: “Lavoriamo pure in un punto delicato”.
Sempre Aquilano è protagonista di una intercettazione sulle ipotizzate minacce a un imprenditore per recuperare un credito. “O mi dai una macchina o mi dai il locale o mi dai quello che vuoi … perché se no il locale che hai ad Ibiza me lo devi dare a me (…) tu l’hai fregato e tu devi dargli i soldi, ora te lo dico in calabrese!”.