Per sua fortuna la Valle Maira non ospita impianti di sci attrattivi, perciò risulta poco spremuta dal turismo. È molto amata dagli escursionisti e da chi apprezza la frugalità dei rifugi. Ora, però, il piccolo centro di Elva è al centro di una vicenda piuttosto discutibile.

La valle inizia a nordovest di Cuneo e sale penetrando la catena alpina per circa 45 chilometri. Subito si restringe divenendo un vero e proprio canyon chiuso dove la luce del sole entra di sbieco formando ombre taglienti nell’aria umida. Poi la Valle Maira torna ad allargarsi e sale, sale fino all’inconfondibile sagoma aguzza della Rocca Provenzale, come un Cervino in miniatura.

Ma è a tre quarti, sulla destra, che si entra in uno di quegli angoli più singolari delle Alpi. Elva è una costellazione di ventotto borgate sparse su un ampio anfiteatro glaciale a quota 1600. All’inizio del secolo scorso, vivevano lassù circa in 1500. Oggi sono 83. D’inverno gli abitanti di quel Paese delle Nevi possono restare isolati per giorni. Troppo complicato e oneroso riaprire subito la strada dopo le nevicate più abbondanti. E pensare che lassù, a picco sul precipizio, si trova il più importante tesoro d’arte fiamminga tardo quattrocentesca delle Alpi, testimonianza di un’antica civiltà locale, chiusa, lontana, statica, eppure meta dei grandi maestri rinascimentali europei.

Il tesoro, nella parrocchiale, è costituito dagli affreschi di Hans Clemer: per la loro maestosità potrebbero essere paragonati senza impallidire a quelli della Cappella degli Scrovegni di Padova. Sono l’impronta dei marchesi di Saluzzo che volevano nobilitare i loro possedimenti e tenere lontano l’iconoclastia dei movimenti ereticali indipendentisti. Una ricchezza che pare del tutto fuori luogo tra quegli anfratti vallivi che alternano ghiaioni, boschi e ampie radure pascolive. Eppure, nonostante il suo inestimabile tesoro artistico, negli anni Ottanta Elva ha conosciuto il triste primato nazionale di “comune più povero d’Italia”.

Non oggi, però, perché Elva si è aggiudicata i 20 milioni del progetto di recupero dei borghi (Pnrr), vincendo su altri 17 comuni del Piemonte. Una cifra da capogiro, esagerata, ingestibile. La domanda che mi pongo è: perché concentrare tutti quei denari su un unico borgo? D’accordo, l’opposto sarebbe altrettanto errato: i finanziamenti a pioggia portano a una facile e inutile dispersione. Ma perché questa concentrazione assoluta e niente ad altri paesi altrettanto degni? Perché non premiare almeno una manciata di quei 17 borghi piemontesi concorrenti. Chi tutto e chi niente. Peccato, un’altra occasione mal gestita.

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