La crisi politica del Paese è strutturale, ed è soprattutto il risultato del sistema del “consociativismo confessionale” basato sull’accordo della “muhasasa”-introdotto nel Paese dopo l’invasione degli Stati Uniti del 2003-, che si fonda sulla condivisione del potere etno-settaria tra gruppi sciiti, sunniti e curdi
Il 27 luglio centinaia di sostenitori di Muqtada al Sadr, leader sciita del Movimento Sadrista in Iraq, hanno preso d’assalto la sede del parlamento a Baghdad per protestare contro la candidatura a primo ministro di Mohammed Shia al Sudani, esponente del partito capeggiato dall’ex premier Nouri al Maliki e sostenuto dall’Alleanza del Quadro di Coordinamento (Cfa), una coalizione di partiti filo-iraniani. I manifestanti sono riusciti a penetrare nella cosiddetta Green Zone, sede degli edifici governativi, per urlare il loro malcontento verso lo stallo politico che perdura da quasi un anno. Il primo ministro Mustafa al Kadhimi ha invitato i manifestanti a “ritirarsi immediatamente” dalla Green Zone e ha dichiarato che le forze di sicurezza si occuperanno della “protezione delle istituzioni statali” impedendo “qualsiasi danno alla sicurezza e all’ordine“. La rappresentanza dell’Onu in Iraq si è detta “preoccupata per ogni tipo di violenza nelle manifestazioni” nel Paese, ma ha ribadito la necessità di proteggere il diritto dei cittadini a manifestare in maniera pacifica. Dopo la riuscita irruzione nel parlamento iracheno, Moqtada al Sadr ha chiesto ai suoi sostenitori, con un tweet, di lasciare l’edificio e tornare alle loro case, a dimostrazione della sua influenza popolare e politica.
“Al-Sudani rappresenta solo una scusa molto conveniente per al Sadr per esprimere la sua avversione verso l’intero sistema politico in Iraq“, ha detto ad Al Jazeera Marsin Alshamary, un ricercatore della Harvard Kennedy School. “Lo avrebbe fatto se qualcun altro fosse stato nominato. Al Sudani in realtà rappresenta una delle figure meno controverse” del fronte filo-iraniano. Nelle elezioni dello scorso ottobre il Movimento Sadrista era riuscito ad ottenere 74 seggi sui 329 complessivi, risultando primo partito nel Paese. I risultati delle elezioni erano però stati contestati dalle forze politiche più vicine a Teheran che avevano manifestato il loro dissenso in modo violento, accusando brogli elettorali e innescando gli episodi di violenza culminati poi nel tentato omicidio del primo ministro al Khadimi, di cui ad oggi non si conoscono i mandanti. Dopo il voto, i colloqui per formare un nuovo governo si sono quindi bloccati portando alla crisi politica in corso. Lo scorso giugno al Sadr ha poi ordinato al suo gruppo parlamentare di dimettersi in massa in segno di protesta contro un parlamento che non era riuscito a trovare un accordo su un esecutivo dopo più di otto mesi di tentativi. Il 23 giugno il parlamento ha però sostituito i posti vacanti con quelli dell’alleanza filo-iraniana, portando quest’ultima ad una maggioranza di 122 seggi e aprendo alla possibilità di formare un nuovo governo, dal quale rimaneva, di conseguenza, esclusa la prima forza politica del Paese.