Maozedong aveva parlato dell’imperialismo come “tigre di carta”, ma ebbe la fortuna di non conoscere Enrico Letta e i suoi occhi di tigre. Lo spettacolo offerto dalla nostra classe politica è abitualmente penoso, ma lo risulta ancora di più di questi tempi, sia per l’approssimarsi vertiginoso delle elezioni, sia per l’evidente e ridicola sproporzione tra questi personaggi accomunati dalla cifra del patetico esasperato, e i problemi che abbiamo di fronte noi comuni cittadini: siamo alle prese con una guerra della quale non si intravvede nessuna possibile conclusione ma che potrebbe in ogni momento degenerare in un conflitto generalizzato e irrefrenabile, con una crisi ambientale e climatica che sta peggiorando in modo irrecuperabile la qualità della vita di noi tutti, in una crisi pandemica che continua a dilagare senza che sia stato fatto nulla di concreto per potenziare le strutture addette alla salvaguardia della salute, in una crisi del lavoro che da asse portante della Repubblica si è trasformato nella vittima predestinata della sua crisi irreversibile.

Quest’ultimo punto è fondamentale. Il vero contenuto dell’agenda Draghi cui un po’ tutti si richiamano è in fondo costituito dalla volontà di liquidare definitivamente il lavoro, cui da molti decenni vengono inflitti colpi gravi e dolorosi su tutti i piani, ma che coll’ascesa al governo del divino banchiere viene letteralmente martirizzato. In tal modo però si impedisce ogni vera possibile ripresa del nostro Paese che verrà da chi lavora e non certo dagli evasori fiscali e contributivi e dagli esponenti della finanza parassitaria. Si sa che l’Italia è, forse al pari colla Grecia, l’unico Paese europeo dove il potere d’acquisto di lavoratrici e lavoratori peggiora costantemente e dove addirittura il padronato si lamenta delle blande misure di soccorso sociale consistenti nel cosiddetto reddito di cittadinanza, perché in qualche modo impedirebbero un totale e selvaggio sfruttamento della forza-lavoro, dato che qualcuno sarebbe, a suo buon diritto, tentato di percepirne l’importo anziché lavorare da schiavo, magari per una retribuzione uguale o inferiore. E’ del resto noto che la nostra classe imprenditoriale, con quale sparuta eccezione, ha sempre preferito abusare dei salariati che competere su altri terreni, come l’aumento della produttività legato alla ricerca e all’avanzamento tecnologico, che sono senza dubbio più ostici e faticosi, e soprattutto richiedono una politica pubblica che, come le altre, in Italia non esiste più da tempo.

Il recente incredibile attacco giudiziario ai sindacati di base del settore della logistica dimostra quanto questo sistema capitalistico di tipo parassitario sia intenzionato a procedere sulla strada del supersfruttamento del lavoro come unica possibile via d’uscita alla propria crisi, acutizzata dai fenomeni sopra richiamati della guerra e della pandemia. Il settore della logistica si rivela da questo punto di vista particolarmente strategico sia per la sua collocazione strutturale che per la presenza di una classe lavoratrice multietnica molto combattiva ed organizzata. Come spiega questo appello, sei dirigenti sindacali appartenenti a SinCobas e Usb sono finiti agli arresti domiciliari, essenzialmente per aver svolto il loro ruolo, che è quello di organizzare il conflitto per realizzare gli interessi della classe lavoratrice. Io vedo una triste débacle culturale della stessa magistratura, settori crescenti della quale sembrano aver smarrito ogni riferimento costituzionale.

Tempi duri si preparano e la probabile ascesa al governo della destra, magari col ritorno di Salvini al ministero dell’Interno, scatenerà ulteriori repressioni per rendere impossibile la legittima e necessaria risposta di coloro che tirano la carretta della società a una classe dominante che li vuole sempre più subalterni, passivi e ridotti sostanzialmente al ruolo di macchine.

Rimirando gli occhi di tigre strabica di Letta & C. ognuno può tuttavia comprendere facilmente come non sia possibile resistere a tale offensiva antioperaia facendo perno su di un Pd da tempo definitivamente perduto ad ogni causa e progetto di riscossa sociale. Va invece rafforzata l’alternativa possibile che deve oggi aggregarsi intorno al progetto lanciato da Luigi De Magistris, Rifondazione comunista e Potere al popolo a condizione che non si tratti di progetto esclusivamente elettoralistico o meramente personalistico. Da tempo la classe lavoratrice in Italia è priva di rappresentanza politica ma non si può andare avanti così, come dimostrato dalle disgrazie di varia natura che si stanno abbattendo nel nostro Paese, sgovernato da una classe politica autoreferenziale e succube, da Letta alla Meloni, di capitale finanziario e imperialismo statunitense. Non c’è futuro per l’Italia se non riusciamo a rottamarli tutti, dando voce alle autentiche esigenze del nostro Paese e del nostro popolo.

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