Qualche settimana fa passavo per le vie dello shopping di Roma e sono entrata in qualche negozio spesso attraverso porte spalancate; dopo essere stata investita da un getto di aria gelida ho chiesto a una delle commesse (che indossava una leggera felpa nonostante il solleone fuori) come mai tenessero la porta aperta. Lei mi ha semplicemente detto che il proprietario aveva dato quelle disposizioni e mi è sembrata molto sorpresa della domanda.
Proprio questo è il punto. Possibile che in piena canicola, con tutti i giornali pieni del dramma ucraino e le conseguenze sulle bollette e disponibilità di energia, non venga considerata una cosa almeno inopportuna tenere le porte spalancate e l’aria condizionata a palla? Peraltro succede la stessa cosa in pieno inverno; anche se non ci fosse la crisi energetica si tratta di comportamenti diffusi ma che non sono più accettabili. Ha fatto quindi benissimo il governo francese ad annunciare, nell’ambito di un piano di “sobrietà energetica” il varo di multe per quei negozi che manterranno le porte aperte con aria condizionata o riscaldamento o le insegne luminose accese quando il negozio è chiuso.
Il piano è stato annunciato dal Presidente Macron nel suo discorso del 14 luglio, e punta a ridurre almeno del 10% i consumi in due anni; è stato ripreso dalla neo ministra della Transizione ecologica e anche dalla Prima ministra, che ha chiesto a tutte le amministrazioni pubbliche di limitare l’aria condizionata a 26°C, di non lasciare gli elettrodomestici in stand-by e a spegnere le luci quando non servono. Vuole anche che gli edifici siano dotati di termostati in modo che il riscaldamento venga acceso solo se la temperatura è inferiore a 19°C.
Nonostante una narrazione disinformata e parziale che in Italia cerca di fare passare l’idea che in Francia non ci siano difficoltà energetiche a causa del nucleare, in realtà dipendenza dal gas e soprattutto i crescenti blocchi e malfunzionamenti del parco nucleare francese rendono il tema di bollette e approvvigionamento energetico centrale anche in Francia; così il governo ha scelto di lanciare, come in Germania, una intensa campagna di sensibilizzazione alla necessità di risparmiare energia. Al di là del fatto che le misure annunciate siano largamente insufficienti e siano state subito definite dagli ecologisti “ridicole” rispetto a ciò che si potrebbe fare, soprattutto in un contesto nel quale la Francia pensa di riaprire il dibattito sul gas di scisto e non ha raggiunto i suoi obbiettivi di istallazione di energie rinnovabili, almeno se ne parla molto e questo è positivo.
Si tratta di una scelta diversa da quella del governo italiano, che dopo alcune dichiarazioni iniziali di Draghi, non si occupa se non in modo incidentale della necessità di ridurre i consumi: continua a valorizzare lo shopping di gas da fornitori diversi dai russi e a prospettare nuove infrastrutture e trivelle che ci inchioderebbero ancora di più alla dipendenza da questo combustibile fossile che già oggi è una importantissima fonte di emissioni in Europa; non c’è una vera priorità riconosciuta pubblicamente e visibile sul potenziale del risparmio energetico, e non si parla mai di quali misure d’urgenza si potrebbero prendere non tanto e non solo per sostituire il gas russo ma anche per ridurre in modo sostanziale il nostro fabbisogno. Si spiega così anche il lavoro del ministro Cingolani per ridurre l’ambizione del piano europeo approvato a Bruxelles e volto a ridurre prima in modo volontario e in caso di emergenza obbligatoriamente il consumo di gas nell’Ue; come pure la sua soddisfazione per avere ridotto dal 15% al 7% l’eventuale riduzione obbligatoria italiana. Quanto al lavoro in corso sulle direttive europee su efficienza energetica e performance degli edifici, le posizioni dell’Italia non sono certo all’avanguardia.
Insomma, nonostante le chiacchiere la strategia italiana è ancora fortemente centrata sul gas. Per di più, la questione cruciale dell’efficienza negli edifici è rimasta incastrata in un dibattito distruttivo e controproducente sul super bonus edilizio, una misura positiva che poteva essere migliorata e rimodulata, ma che poi è stata travolta dall’ostilità forse poco informata di Draghi e da un dibattito pro e contro i Cinque Stelle, il tutto sulla pelle di migliaia di industrie e cittadini.
Resta chiaro insomma che ci vogliono misure serie, radicali e molta convinzione per realizzare l’enorme contributo che politiche di risparmio energetico potrebbero rappresentare per la nostra sicurezza energetica: non sono sufficienti comportamenti individuali o sporadici impegni. Che questo non sia facile, lo dimostra il fatto che in Francia c’è stato un largo dibattito pubblico sulla crisi climatica nell’ambito di una convenzione cittadina sul clima che tra il 2019 e il 2020 lavorato per mesi ed è arrivata ad una lunga serie di proposte anche sul risparmio energetico; proposte poi sono rimaste per lo più inapplicate: questo spiega l’insoddisfazione dei verdi di fronte alle soluzioni del governo che appaiono insufficienti a determinare una reale svolta.
Eppure oggi esistono tecnologie (spesso europee) che potrebbero ridurre di dieci volte il consumo energetico di un edificio; dal punto di vista industriale ci sono larghi spazi di riduzione del fabbisogno anche nei settori energivori come pure nei trasporti e in agricoltura. Le cose da fare subito sono molte e non particolarmente rivoluzionarie; si devono organizzare intorno a incentivi, scadenze e regole concrete e alla partecipazione di governo, imprese, enti locali e cittadini/e. In parte esistono già e ingenti fondi potrebbero essere sbloccati. Ma devono essere molto meglio conosciute e applicate. Nella campagna elettorale che ci aspetta, invece che accapigliarci su rigassificatori e tubi varrebbe davvero la pena discutere sul modo migliore di farne a meno.