La violenza per affermarsi sui rivali, dimostrando di essere più forti facendosi “giustizia privata”. Una spirale inarrestabile, culminata in quello che gli inquirenti hanno inquadrato come un vero e proprio sequestro. Avevano creato una “war zone” tra Milano e Padova, i componenti delle gang di due trapper, Simba La Rue e Baby Touché. Una “continua sfida ad alzare sempre la posta in gioco, le continue ed improvvise ritorsioni, imprevedibili e ‘spettacolari”, la descrive il gip di Milano Guido Salvini che ha disposto 9 arresti tra cui quello di Simba La Rue con accuse che vanno dalla rapina al sequestro proprio di Baby Touché, avvenuto nella notte tra l’8 e il 9 giugno, filmato e mandato online in ogni sua fase. L’apice di una guerra sotterranea che andava avanti da mesi.
Il primo reato contestato è una rapina dello scorso marzo in via Settala, a Milano, ai danni un 22enne italiano e di un 27enne pugile tunisino, vicini al gruppo capeggiato da Baby Touché. Avrebbe tratto origine da una precedente aggressione contro un componente del gruppo di Simba La Rue, “circondato e ripetutamente colpito da una decina di giovani” lo scorso 14 febbraio mentre si trovava vicino alla stazione di Padova. Anche in quel caso, le immagini erano finite online. In occasione della rapina di marzo, dalle intercettazioni dell’ordinanza risulta che la 20enne Sara Ben Salha, anche lei finita in carcere, “era stata incaricata di attirare” una delle due vittime “con la scusa di un appuntamento ‘galante’, presso un locale non meglio precisato a Milano, al fine di rendere possibile l’agguato ai suoi danni”.
Sempre la giovane, poi, scrive il gip, “ha dimostrato di sapere depistare le indagini” sin dal loro “inizio in quanto agli agenti”, che erano intervenuti in via Settala, aveva dichiarato “astutamente e falsamente di essere stata una vittima dell’aggressione poiché il gruppo puntava anche ad impadronirsi della sua borsetta e ha indicato un colore delle autovetture a bordo delle quali gli aggressori erano giunti diverso da quello reale al fine di renderne più difficile l’identificazione”. Nei giorni successivi, uno degli indagati – il 25enne Fabio Carter Gapea, 25 anni – commentava al telefono: “Comunque a Milano se dobbiamo girare, adesso stiamo attenti fra, perché adesso siamo entrati in una ‘war zone’ con quelli di Padova frate”.
Un altro degli arrestati – Christopher Alan Momo, 23 anni – invece nei giorni successivi commentava la rapina: “Lo abbiamo aperto bene, era pieno di sangue eh … visto?”. Poco prima delle 3 di quella notte Momo e Gapea erano saliti a bordo di un’auto, riassume il gip, “ansimando e intrattenevano una conversazione” dalla quale “emergeva inequivocabilmente il fatto che l’aggressione” era stata “portata a termine con successo dal gruppo”. I giovani “che aggrediscono, nel giro di pochi giorni diventano quelli aggrediti, in una spirale di aggressioni-ritorsioni-aggressioni che si autoalimenta e che non appare altrimenti arrestabile e che con il passare del tempo produce crimini sempre più cruenti e pericolosi”, scrive il giudice Salvini.
Tutto il “meccanismo pubblicitario costruito intorno ai comportamenti e alle azioni delle bande, attraverso le canzoni, i video e i social network”, spiega il giudice, “punta all’imitazione e alla glorificazione delle azioni delittuose moltiplicando gli effetti pericolosi delle azioni stesse”. La “dimensione sociale” in cui si muovono li ha portati “a una totale astrazione dalla realtà, che impedisce loro di percepire il disvalore ed il peso delle azioni criminose” e questa “continua sfida ad alzare sempre la posta in gioco, le continue ed improvvise ritorsioni, imprevedibili e ‘spettacolari’, sono ormai fortemente pericolose per la sicurezza pubblica” in una “dinamica di ‘giustizia privata’, realizzata con armi, minacce sui social, avvertimenti ed aggressioni spettacolari”.
Il fatto che “gli autori dei reati, e più in generale, gli appartenenti alle bande rivali, siano molto conosciuti e seguiti sui social network”, dove annunciano anche “i prossimi ‘obiettivi’, rischia di portare numerosi ragazzi anche di giovanissima età a considerare ‘normali’ le azioni criminose poste in essere dagli esponenti delle gang”. I follower hanno “seguito con coinvolgimento le evoluzioni della faida e hanno creato delle vere e proprie ‘fazioni’ di sostegno all’uno o all’altro gruppo, scontrandosi nei commenti e alzando ancor di più il livello di scontro”. Tutto fino al sequestro di Baby Touché, diffuso su diversi canali Instagram sostanzialmente in presa diretta. E, ma ad indagare non è la procura di Milano, in questo contesto andrebbe inserito anche “il grave accoltellamento” subito da Simba La Rue in provincia di Bergamo, “rivendicato sui social da uno dei membri della banda di Baby Touché” può essere “letto come la ritorsione all’aggressione perpetrata in danno di quest’ultimo”, ovvero il sequestro del 9 giugno.