di Paolo Di Falco
Instabilità: questa è forse la parola più adatta per descrivere la nostra Italia nel contesto politico internazionale, quella caratteristica intrinseca che si cela sempre dietro l’angolo per fare la sua puntuale comparsa dopo un paio di anni. Siamo anche conosciuti per la nostra memoria corta, a tal punto che in 76 anni di storia repubblicana si sono susseguiti 67 governi e ben 30 presidenti del Consiglio.
Adesso, in un contesto dove da più di quattro mesi un Paese non così troppo distante da noi continua a essere bombardato, l’inflazione ha toccato un 8% che non si registrava da gennaio del 1986, gli effetti dell’emergenza climatica tra siccità e scioglimento dei ghiacciai diventa sempre più incombente, bisogna trovare una soluzione all’emergenza sociale, il nostro Paese si avvia alle urne anticipate. Così, tra appelli fatti per cognome “per non discriminare qualche bambino che si sente fluido magari a sette anni” come ha tuonato Salvini dal palco di Domodossola e pensioni minime “da mille euro al mese almeno per 13 mensilità” come ha prontamente promesso l’eterno Cavaliere, ci si appresta a vivere l’ennesima campagna elettorale prima del voto del 25 settembre.
Ricomincia così il tempo della propaganda e il tempo delle promesse, che forse non è mai terminato veramente nemmeno sotto il governo di unità nazionale abbracciato ampiamente da tutti, eccetto da Fratelli d’Italia che scelse la strada dell’opposizione per scavalcare la Lega nei sondaggi. Lodato da destra a sinistra, dove qualcuno si spinse anche a definire l’ex presidente della Bce “il supremo”, e finito con una giravolta: da un lato, alla stabilità i partiti di centrodestra hanno preferito cercare di capitalizzare quel consenso che gli viene attribuito dai sondaggi e, dall’altro, il M5s ha cercato di evitare ulteriori fratture all’interno del suo Movimento già decimato andando a sacrificare l’alleanza con il Pd.
Facendo finta che questa legislatura sia stata solamente una piccola parentesi, si ritorna indietro: stando alle posizioni degli ultimi giorni il M5s si appresta a correre da solo o a mettere insieme una sorta di alleanza Melenchon con il chiaro obiettivo di abbracciare la narrazione del “noi da soli contro tutti” che, per ironia della sorte, è la stessa che sembra aver abbracciato anche il leader di Italia Viva Matteo Renzi.
I primi durante questi anni hanno subito una vera e propria metamorfosi, inebriati dal velluto rosso delle poltrone, consegnandosi alla Lega, al Partito Democratico e a Forza Italia che, per inciso, erano considerati da loro come “nemici storici”. Il secondo, negli ultimi anni dopo la scissione dal Pd, ha cercato di portare avanti le stesse battaglie di sempre ma non riuscendo più a far breccia nel cuore degli elettori, vista la stabilità nei sondaggi. Accanto troviamo il Pd di Letta che si appresta a costruire un campo largo che va da Brunetta a Di Maio e poi Azione di Carlo Calenda, che insieme a +Europa ha lanciato “il fronte repubblicano”. La grande sfida, però, rimane quella di frenare l’avanzata del centrodestra, rimane quella di smontare i vecchi slogan e di mettere da parte la rassegnazione da secondo posto puntando a offrire proposte credibili che possano dare una seria risposta agli interrogativi del Paese senza perdersi in assurde battaglie per la leadership ancor prima di iniziare.
Dall’altra parte c’è invece un centrodestra che si avvicina sempre di più all’estrema destra, visto il continuo sgretolarsi del partito di Silvio Berlusconi che, nel frattempo, rispolvera le sue solite promesse mai realizzate senza accorgersi del tempo che passa. Al suo fianco c’è un Salvini che ricomincia a gridare all’invasione e che, sapendo di non poterla spuntare al voto contro Fratelli d’Italia, sembra avanzare la sua candidatura a Ministro degli Interni. Lo stesso incarico che ricoprì sotto il primo governo Conte firmando i decreti sicurezza che portarono alla chiusura di diversi centri Sprar predisposti per l’accoglienza dei migranti, mentre ora si lamenta del sovraffollamento degli hotspot di primo arrivo, lo stesso che sosteneva di fermare l’immigrazione bloccando le navi a pochi chilometri dalla costa per giorni…
E poi c’è la Meloni, la favorita dai sondaggi, che in attesa di capire se le sarà attribuita la leadership del centrodestra sfoggia il suo bagaglio di posizioni omofobe ed estremiste simili a quelli degli alleati europei, da una parte l’estrema destra degli spagnoli di Vox e dall’altra quella del primo ministro ungherese Viktor Orbán.
Insomma, tra instabilità e memoria corta, ci avviamo a questa nuova campagna elettorale dove, speriamo, c’è la volontà del mondo politico di presentarsi con proposte credibili e di dimostrare l’inconsistenza, fattuale ed economica, di quelle promesse che sembrano avere come unico obiettivo quello di renderci ancora più ridicoli agli occhi dell’opinione internazionale e di abbagliare gli elettori per assicurarsi una legislatura in cui portare il Paese verso lo sfacelo totale.