Può un innocuo uccellino bloccare i lavori di una ferrovia per vent’anni? La risposta sembra scontata, eppure il fratino, questo il nome del volatile, continua a finire sui giornali e l’infinito travaglio di un’opera strategica rischia di essere archiviato, scaricando sul pennuto buona parte delle responsabilità dell’ennesima vergogna italiana. Parliamo del raddoppio della rete ferroviaria sulla tratta Termoli-Lesina, tra Puglia e Molise. Un collo di bottiglia a binario unico che strozza la dorsale adriatica costringendo i treni ad aspettare il passaggio di quelli che viaggiano in direzione opposta. Appena trentaquattro chilometri che per la sola fase progettuale, affidata a Rete ferroviaria italiana (Rfi) del Gruppo Ferrovie dello Stato, hanno visto passare due decenni “in virtù delle soluzioni alternative proposte nel corso degli anni e dei rilevanti contenziosi instaurati”, ha sintetizzato di recente la Corte dei conti. A consegnare agli onori della cronaca il fratino sono infatti le polemiche scatenate dalla bocciatura che il progetto definitivo riceve nel 2020 dai tecnici della commissione ambientale del ministero. Nonostante le carenze riscontrate siano decine e altrettante le prescrizioni, il nemico del progresso è uno solo. Indizi? Ha il becco e tutti contro: media, politici e addirittura l’ad di Rfi Vera Fiorani che ancora il mese scorso se la prendeva col povero uccello. Alla fine il progetto è stato approvato e i bandi appena aggiudicati, ma nonostante gli anni a disposizione non c’è ancora una soluzione alternativa alle barriere anti-rumore da installare sul tracciato, compreso il centro di Termoli. “Non esattamente una svista, perché anche di questo si discute da vent’anni e le condizioni poste erano ben diverse”, denuncia Carmela Sica del Comitato cittadini in rete di Termoli. E la Regione Molise continua a ribadire in ogni sede la contrarietà a un’installazione che deturperebbe il territorio e danneggerebbe gli abitanti. “A costo di bloccare nuovamente il progetto”, assicura a ilfattoquotidiano.it il governatore Donato Toma.

Quando sarà tutto finito, sempre che stavolta si rispettino i tempi previsti, correrà l’anno 2028 e saranno passati quasi trent’anni, uno per ogni chilometro. Del raddoppio della Termoli-Lesina si parla fin dagli anni ottanta, ma solo nel 2001 l’ok del Comitato interministeriale per la programmazione economica (Cipe) fa entrare l’opera nella Legge obiettivo. Nel 2003 la consegna del primo progetto di Rfi, nel 2004 la doppia bocciatura di ministero dell’Ambiente e ministero dei Beni culturali. Passano gli anni e ancora nel 2010 i Beni culturali ribadiscono la contrarietà a una soluzione “che impatta in un’area di pregio”, quella costiera molisana in particolare, già alle prese con l’erosione. Si inizia a ragionare di varianti e nel 2014 la Regione Molise formalizza la richiesta a Rfi di studiare un’alternativa che sposti la linea verso l’entroterra, lontano dallo storico tracciato costiero per la tratta nel comune di Campomarino. La Puglia si indispettisce per i tempi che si allungano, ma l’allora assessore molisano ai Lavori pubblici, Pierpaolo Nagni, ne fa una questione di principio: “Abbiamo pochi chilometri di costa sui quali, però, si basa buona parte dell’economia regionale. Il nostro unico e legittimo scopo è quello di preservare la costa molisana dandole un’opportunità di sviluppo”. Nuovo tracciato, nuovo progetto e nuove autorizzazioni. Si ripassa dal Cipe che dà il via libera alla cosiddetta “variante Molise” approvando un aumento dei costi di 150 milioni di euro per un totale di 700 milioni. La variante diventa un lotto a sé stante che nel 2017 riceve il primo parere positivo della Commissione tecnica speciale di verifica di impatto ambientale (Via). Ma si tratta di appena due chilometri. Gli altri vanno ancora approvati e la progettazione richiederà altri due anni. In tutto ne sono già passati 18.

Il progetto presentato nel 2019 però non supera la verifica di impatto ambientale. Le principali motivazioni: “Non è stato effettuato l’approfondimento delle analisi di alternative progettuali, non è stato effettuato l’approfondimento della vulnerabilità dell’opera ai rischi derivanti dai cambiamenti climatici nell’area di progetto, non è stata effettuata una stima dei possibili impatti sulla salute della popolazione coinvolta” con riferimento “all’atmosfera per la fase di cantiere e al Rumore e Vibrazioni sia per la fase di cantiere che per la fase di esercizio”. Quanto al fratino, sulla tutela dell’avifauna e delle specie che la stessa Rfi aveva inserito nel suo studio di impatto ambientale come il Coracias garrulus (ghiandaia marina), la commissione ministeriale chiede di superare la “caratterizzazione sommaria” con i necessari studi e approfondimenti e la “definizione di opere di compensazione quali la rinaturalizzazione di nuove aree o il management degli habitat” perché “potrebbero in parte contenere gli impatti sull’Avifauna”. Ma si tratta soltanto di una delle oltre cinquanta prescrizioni che i tecnici dispongono a fronte di altrettante carenze progettuali riscontrate, dalla salute umana ai tanti aspetti del piano di utilizzo delle terre di scavo nei cantieri. Ma tanto basta perché la commissione si attiri le peggiori critiche e il fratino diventi il mostro da sbattere in prima pagina. E pazienza se nel parere della commissione nemmeno è citato e se schiere di ornitologi lo scagionino chiarendo che l’esile uccelletto nidifica rigorosamente sulla sabbia delle spiagge dove a minacciarlo sono i bagnanti, non i treni. Nulla da fare.

“La Commissione che ha dato parere negativo non è quella insediata da poche settimane grazie al lavoro del ministro dell’Ambiente, Sergio Costa, composta da tecnici competenti, ma quella precedente per lo più formata da giuristi spesso nominati da politici di professione ed ex ministri, gli stessi che oggi criticano il Governo”, scrive esattamente due anni fa il deputato molisano del M5s Antonio Federico, convinto che la bocciatura nasconda lo sciacallaggio politico di Costa e dell’allora ministra alle Infrastrutture e Trasporti, Paola De Micheli, con l’obiettivo di boicottare il governo. “Né possono essere addebitare responsabilità a Rfi”, aggiunge. Eppure sarà lo stesso Costa a difendere il parere della commissione. In un’interrogazione dell’ottobre 2020 i deputati della Lega gli chiedono di spiegare quanto dicono di aver appreso dalla stampa: che “il ministero chiede varianti sostanziali al tracciato in ordine alle interferenze sulla natura e verso gli uccelli “fratino” e “ghiandaia marina””. Sui tempi, il ministro risponde che “solo alla fine del 2019 Rete ferroviaria italiana s.p.a. ha trasmesso il progetto definitivo”, e in una lunga lista ne evidenzia le carenze su “numerose componenti ambientali”, dagli effetti sulla popolazione a quelli “indiretti legati ad abbassamenti temporanei o duraturi del livello di falda”. Aggiungendo che la sottocommissione VIA (Verifica di Impatto Ambientale) ha subito chiesto a Rfi integrazioni per superare il parere negativo della commissione, ma la documentazione consegnata “è stata rilevata nuovamente essere significativamente carente per vari aspetti”. Tutto chiarito? Nemmeno per sogno, il fratino continua a tenere banco e lo farà fino ai nostri giorni.

L’otto giugno scorso il Corriere titola “salvare gli uccelli fratini è costato 150 milioni”, interpretando liberamente la relazione della Corte dei conti e attribuendo all’uccelletto la responsabilità e l’intero costo della variante molisana. Lo stesso fa il Messaggero col titolo “Ferrovia bloccata da burocrazia e dai nidi di uccello”. L’attenzione è tale che lo schivo volatile finisce per arrossire e, chissà, trarre in inganno il ministro delle Infrastrutture Enrico Giovannini, che in un’intervista del 20 giugno allo stesso Messaggero si inventa una nuova specie: “Il fratino rosso, l’uccello che blocca da 22 anni lo sviluppo della linea ferroviaria Adriatica”. Del resto lo ha detto anche l’ad di Rfi Fiorani, appena 4 giorni prima: “Il raddoppio della rete è stato bloccato da un uccello protetto. Ma ora il problema è stato risolto insieme al ministero”. E insieme al secondo governo di Giuseppe Conte, ancora in carica quando all’inizio dell’anno scorso la nuova commissione Via sta lavorando al nuovo parere. Sul tavolo l’ottemperanza di Rfi alle prescrizioni richieste nel 2020 e le osservazioni di enti locali, associazioni, comitati e cittadini. Nel tentativo di far “correre l’Italia”, a gennaio 2021 l’esecutivo Pd-M5s commissaria 58 opere pubbliche compresa la Termoli-Lesina, nominando commissario straordinario un dirigente di Rfi, come del resto fa per le altre 16 tratte ferroviarie commissariate. Decisione criticata dal Comitato cittadini in rete di Termoli che denuncia il conflitto d’interessi e l’interferenza col procedimento autorizzativo del progetto di Rfi, ancora in corso. Due mesi dopo, il 26 marzo 2021 arriva il tanto agognato parere favorevole sulla compatibilità ambientale. Non senza ulteriori prescrizioni, come quelle che riguardano il problema del rumore che aumenterà con l’aumento di un traffico ferroviario finalmente liberato dal binario unico.

Da poco sono stati aggiudicati i bandi per i lavori sulla tratta, ma se il fratino sembra definitivamente uscito di scena, riunioni e tavoli ancora serviranno a dirimere una questione tutt’altro che secondaria, quella del contenimento acustico di una infrastruttura che tra qualche anno vedrà viaggiare “fino a 176 convogli al giorno, uno ogni sette minuti con prevalenza di treni merci”, spiega Carmela Sica del Comitato cittadini in rete. Che da anni si oppone alle di barriere anti-rumore, le stesse alle quali il comune di Termoli aveva detto no nei protocolli d’intesa del 2005 e 2006 che acconsentivano al raddoppio della tratta a binario unico a patto che Rfi presentasse un progetto alternativo per allontanare i binari dall’abitato e spostasse la sottostazione elettrica che alimenta l’infrastruttura ferroviaria adriatica, oltre alla cessione di suoi fabbricati e aree liberate. Per capire la contrarietà di migliaia di cittadini all’innalzamento di chilometri di barriere in metallo o calcestruzzo alte sette metri basta farsi un giro su Google maps. C’è un però. Nonostante l’aumento di traffico e rumore impatteranno anche oltre il tracciato della Termoli-Lesina, l’abitato termolese è situato immediatamente a nord della tratta e non rientra nell’opera da approvare. E lo “spezzatino”, come lo chiama Carmela Sica, legato anche al nuovo lotto della “variante Molise”, rende più timida l’attenzione degli enti locali e dei protocolli d’intesa non si troverà traccia nella nuova fase del progetto. Tanto che nel 2018 Rfi avanza al comune la richiesta di indicare tutti gli ostacoli interferenti con le barriere anti-rumore da installare nel centro cittadino. I cittadini insorgono, raccolgono firme e il consiglio regionale dà mandato alla Regione di pretendere un’alternativa come condizione per l’appoggio dell’ente alla Termoli-Lesina. Come già detto, sulla questione il progetto risulterà carente sia nel parere negativo della commissione Via del 2020, sia in quello favorevole del 2021, che affiderà la soluzione a ulteriori accordi con la Regione.

“È vero, con tutti gli anni trascorsi Rfi poteva darci prima una soluzione alternativa”, dice oggi il governatore del Molise Toma. “Le prescrizioni ci sono state e c’era l’obbligo per Rfi di adottare ogni procedura idonea, ma non le barriere anti-rumore”, spiega ricordando che lo stesso problema ce l’ha la Regione Marche per un altro tracciato, “e insieme abbiamo posto la questione all’attenzione della conferenza dei presidenti delle Regioni”. Insomma, per il governatore “il nostro ok al raddoppio Termoli Lesina è e rimane condizionato alla contrarietà a barriere non idonee a salvaguardare Termoli, a costo di bloccare di nuovo il progetto”, assicura. E rilancia dichiarando aperta l’ipotesi di spostare la stazione di Termoli e che “sullo spostamento del traffico merci è in corso uno studio di fattibilità collegato ai fondi del Pnrr”. “Ma ad oggi, mentre parliamo, alternative alle barriere ancora non si vedono”, spiega la Sica. Perché non è questione da poco. A dimostrarlo è la lettera che nel 2020 il precedente amministratore delegato di Rfi Maurizio Gentile scrive a Costa e De Micheli. Rfi doveva presentare il piano di interventi di contenimento e abbattimento del rumore, ma di oltre 400 interventi quelli ultimati sono appena una trentina. Perché i comuni si oppongono e secondo l’ad non se ne esce senza un intervento legislativo che consenta “di stabilire una nuova modalità di determinazione dell’impatto acustico”, anche permettendo “interventi di mitigazione acustica per fasi” senza che si debba incorrere “in ricorsi e azioni giudiziarie da parte della cittadinanza in caso di mancato conseguimento dei limiti normativi”. Insomma, Gentile chiarisce ai ministri che se vogliono il risanamento acustico ci deve pensare il legislatore. Anche per questo dopo vent’anni siamo ancora qui a discuterne, una soluzione non è ancora stata definita e sulla Termoli-Lesina come altrove si rischiano altri ritardi. Ma stavolta dare la colpa al fratino sarà più complicato.

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