Viaggi

Prendo casa al Sud. Ma non per buttarla in pasto al Far West di Airbnb

Mutuo. Due casette nel centro storico di Napoli per i miei figli. Li voglio radicare lì dove sono nati, all’ombra del Vesuvio. Gli interessi schizzano in su mentre loro raccolgono le prime prenotazioni online. Sono sempre figli del mondo, prima di essere figli miei. Le mettono sulla piattaforma di Airbnb, prima ovviamente un passaggio in Questura per dichiararle. Il primo cliente lascia la casa in condizioni pietose, un gabinetto pubblico sarebbe più pulito. Un altro rompe una sedia Thonet e se la dà a gambe.

Ho provato a consigliare loro di chiedere una caparra di garanzia. Ma la policy di Airbnb non la contempla. E già chissene, tanto loro non rischiano nulla.

Altro giro, altri clienti rompono altra sedia, infilano la spina del ventilatore e spezzano il gambino della presa elettrica. Dimenticano le chiavi a notte fonda, svegliano tutto il vicinato finché un’anima pietosa non li apre. Uno rimane fuori e dorme sul pianerottolo. Un’altra invece si dimentica entrambe le chiavi dentro casa. Occorre chiamare il fabbro, visto che neanche il pronto intervento di “aprire” con una radiografia ha funzionato.

Altri protestano se chiedi la copia di un documento, con l’arroganza di certi tipi yankee con accento largo da papera: “In the States we don’t do that”. Scusi, siamo in Italia e lei deve rispettare le leggi del paese ospitante: per le norme antiterrorismo devo denunciare alla polizia chi entra in casa.

La sporcizia che si lasciano alle spalle è da cloaca. Ho detto ai miei figli di chiedere 30 euro per le pulizie. Ma immaginate un po’ 15 euro se li trattiene AirBnB. A che titolo? Non si sa, non mandano mica il loro maggiordomo a pulire.

Anche gli animali cercano di tenere il loro habitat pulito, lasciare sporcizia intorno a sé non è un atto naturale ma è un gesto di voluto disprezzo delle più elementari norme del vivere sociale. Tutto documentato da foto. Adesso che si fa? Cerchiamo di contattare qualcuno di Airbnb.

Non esiste un’entità fisica. In un mese di tentativi vani per protestare contro gli atti di vandalismo, ho cercato di mettermi in contatto con qualcuno. Anche con una brand ambassador (lo sono in tanti), ha un cognome importante da politica da prima repubblica. Mi chiede di non fare il suo nome. Rispetto il suo diritto alla privacy ma a noi chi ci pensa? Riesce solo a dirmi tra i denti: “Effettivamente la policy di Airbnb è quella di essere dalla parte dei clienti”. Che sono tanti, in giro per il mondo.

Airbnb è stata fondata nel 2007, quando due host decisero di accogliere per la prima volta tre ospiti nella loro casa di San Francisco. Da allora, questa community è cresciuta e oggi (cifre pre-pandemia) conta 4 milioni di host, che a loro volta hanno ospitato più di 1 miliardo di persone in quasi tutti i paesi del mondo.

C’erano tante cose che si potevano imparare da Airbnb, l’azienda diventata famosa per gli affitti a breve termine adesso pure quotata in Borsa al New York Stock Exchange. I fondatori Joe Gabbia e Brian Chesky si conoscevano dall’università, entrambi studiavano design. Nessuno dei due aveva un background tecnico. Ma quando la padrona di casa chiese loro un aumento del 25% sulla mensilità decisero quindi di mettere online un sito, airbedandbreakfast.com, attraverso il quale affittare materassi nel loro salotto a coloro che dovevano soggiornare a San Francisco.

All’inizio la loro visione era quella di creare una piattaforma per offrire ai loro ospiti un’esperienza “integrativa” come se fossero che non si limitava all’alloggio, ma che voleva portare l’ospite a vivere la città come un local, uno del posto. E comincia il network effect. Gli ospiti che la usavano mentre viaggiavano, tornati a casa si registravano come host cominciando anche loro ad ospitare. I fondatori riconoscono che la piattaforma è frutto del contributo delle persone che ne fanno parte, che ne alimenta la continua crescita.

In un 2020 complicatissimo per il settore del turismo, con un declino del 60-80% rispetto all’anno precedente e $850 miliardi di dollari in meno spesi nel settore, oggi invece i numeri sono in crescita mentre si gioca al massimo del ribasso dei prezzi. E le commissioni di Airbnb si sono subito adeguate alla domanda e sono salite di ben oltre il 25%. A loro piacimento inseriscono le maisonette di Kamalei e Tiare nelle loro promozioni, il tutto senza diritto di replica.

Chi conosce bene dice che Airbnb (la casa madre) avrebbe un’assicurazione che coprirebbe eventuali danni fatti a terzi. Mission (quasi) impossibile farsi rispondere da qualcuno. Solo un sabato pomeriggio una voce che masticava a malapena l’italiano mi contatta da un call center in Romania. Chiaro: anche Airbnb non ha alcuna sede fisica. Almeno non Italia. Dunque niente tasse. Ma a noi le trattengono e non ti arriva a fine mese nessuno estratto conto. Tutto questo ai tempi del distru/turismo dove tutti (quasi) hanno messo la casa sulla piattaforma più famosa al mondo.

Già occorre essere prevenuti su comportamenti di amici e parenti quando gli prestiamo casa (o ti promettono un fantomatico rimborso spese). Figuriamoci quattro screanzati che credono di avere ogni diritto “perché hanno pagato”… Airbnb oggi è il Far West dell’ospitalità.