Il disastro urbanistico causato dalla ipertrofica motorizzazione privata è evidente non solo nei parcheggi, nelle strade e autostrade, ma anche nei pressi dei distributori di benzina e di gas, dove si profila uno scenario a tratti infernale: inquinamento acustico, emissioni inquinanti, isole di calore con punte da 50 gradi, sottrazione di aree verdi, aumento del traffico. Il parco circolante in Italia sfiora i 40 milioni di veicoli nel 2021 e per rifornirle ci sono 22654 pompe, (dati Autopromotec ottobre 2021) con una densità di distributori di carburanti doppia rispetto al Regno Unito, quadrupla rispetto alla Francia e nettamente superiore rispetto alla Germania.

E guarda caso sono tutte dislocate nelle periferie, non appartenenti ovviamente alle zone A o in vario modo tutelate. Una ingiustizia sociale, poiché il benestante motorizzato che vive in centro o in campagna va a fare il pieno nelle periferie povere densamente popolate, riversando su di esse ogni esternalità.

Secondo uno studio dell’Università della Murcia (Spagna), pubblicato sul Journal of Environmental Management, nel 2011 vivere vicino a un distributore di benzina è molto dannoso alla salute. I ricercatori hanno rilevato nei pressi delle stazioni di servizio l’emissione di sostanze dannose sopra i livelli medi, il cui impatto inquinante si estende nel raggio di cento metri. Alcuni composti organici nell’aria come il benzene aumentano il rischio di cancro. Secondo la ricerca la distanza di sicurezza non dovrebbe scendere sotto i cinquanta metri e salire a cento nel caso di edifici “sensibili” quali scuole, ospedali, centri sanitari e alloggi in cui vivono persone anziane.

Un altro studio del 2018 della Columbia University, ha scoperto che le emissioni erano dieci volte superiori alle stime utilizzate per determinare la vicinanza di scuole, parchi giochi e parchi alle strutture. Facendo una prudente stima per difetto e calcolando solo 500 persone in media per distributore arriviamo in Italia a oltre dieci milioni di persone. Nella provincia di Roma, calcolando una media di sole 300 persone a distributore, arriviamo a 657.600 cittadini che si trovano nel raggio nefasto delle emissioni dei distributori. Inoltre vari studi dimostrano che intorno ai distributori le emissioni fuggitive di metano sono frequenti ed è ormai noto che hanno inoltre un potere climalterante altissimo (82,5 volte maggiore della CO2).

A Tor Bella Monaca, quartiere periferico di Roma, che (soprav)vive attorno a una delle strade a più alta incidentalità e mortalità di Roma, in 150 metri di viale sono stati costruiti ben tre distributori, Eni, Ip e Repsol, a pochi metri anche da case popolari. Questi distributori hanno contribuito a eliminare il verde pubblico (per circa 12 mila m²), rendendo il quartiere invivibile. Un quartiere già duramente provato dall’inquinamento acustico e atmosferico, prodotto dal traffico veicolare in continuo aumento. Le aree verdi, ormai universalmente considerate insostituibili, irrinunciabili e strategiche ai fini eco-climatici e per la salute psicofisica dei cittadini, vengono fatte fuori (anche) da questi mostri, ultimo anello di una infernale catena, che parte dalle trivelle nei paesi più poveri di mondo, passando dai gasdotti/petroldotti, dalle petroliere e navi gasiere, fino alle raffinerie o rigassificatori sulle coste… Ognuno di questi passaggi implica una irrimediabile ferita all’ambiente e un passo in più verso il collasso climatico. Una catena che aggrava la crisi climatica, l’ingiustizia sociale e impedisce l’adattamento del territorio.

I residenti di Tor Bella Monaca da anni protestano, fanno esposti, anche perché sono stati colpiti dal deprezzamento delle loro case, come testimonia Roberto Luffarelli, residente di Via Aspertini e attivista per la mobilità sostenibile. Purtroppo non ci sono limiti ai distributori: la liberalizzazione dei distributori, avvenuta nel 2012, toglie ogni vincolo sulla distanza minima e non pone limiti all’inquinamento acustico che i residenti limitrofi devono tollerare. Insomma, tra strade, parcheggi e distributori, il disastro urbanistico dovuto alla motorizzazione privata rende le città sempre meno resilienti e incapaci di adattarsi al cambiamento climatico. Come faremo a sopravvivere al collasso climatico in città senza più verde, incapaci di assorbire le bombe d’acqua e mitigare le ondate di calore?

Eppure, in nome del dio denaro, si continua a cementificare, come ben evidenzia l’ultimo terrificante rapporto Ispra. Solo dimezzando il numero del parco auto circolante, puntando tutto sui mezzi pubblici e sulla condivisione delle auto (elettriche), potremo rendere le città finalmente più abitabili dagli esseri umani, liberare lo spazio. Con la metà delle auto circolanti anche i distributori potranno finalmente essere in buona parte dismessi, riconvertiti a luoghi verdi di benessere e socialità.

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