Parte Lorenzo Lucca, arriva Cesc Fabregas e l’assist è perfetto per il canonico discorso sull’Italia che non ne vuole sapere di concedere spazio e opportunità ai giovani, preferendo affidarsi all’usato, spesso non così sicuro come sembra. Un discorso a prova di bomba perché questa è la realtà, più volte descritta e analizzata. Solo che Fabregas rappresenta un caso a parte, trattandosi di un’autentica strategia di valorizzazione di un marchio, nello specifico quello del Como Calcio, dove l’aspetto del campo è quello paradossalmente meno importante. L’operazione Fabregas potrebbe essere un successo a prescindere dall’effettivo apporto del campione spagnolo ai destini dei lariani, fungendo da esempio di come una strategia di business ben strutturata, con alle spalle una proprietà solida, possa portare generare ricadute positive anche su una piazza di provincia.
E’ noto come i fratelli Robert Budi e Michael Hartono, con il loro patrimonio stimato in 18 miliardi di dollari, siano i proprietari più ricchi del calcio italiano. Ma finora la loro gestione del Como è stata ben altra cosa rispetto a quella, cafona e scialacquatrice, che spesso caratterizza l’ingresso nel mondo del calcio di nuovi, munifici investitori. In una piazza scottata da numerosi fallimenti, la nuova proprietà ha costruito la propria credibilità attraverso una serie di operazioni di sostanza, dallo scarso impatto mediatico ma fondamentali per strutturare e modernizzare la società. Nell’ultimo quadriennio è stato acquistato il centro sportivo, incrementato il numero di lavoratori dipendenti, realizzato un nuovo manto erboso per lo stadio Sinigaglia e creato un canale televisivo. L’unico spunto di interesse a livello nazionale è stata la nomina ad amministratore delegato di Dennis Wise, ex centrocampista del Chelsea e della nazionale inglese. Un po’ poco per un club il cui brand, a detta di Mirwan Suwarso, manager e capo del ramo tv e intrattenimento della Sent (la società degli Hartono che controlla il Como), avrebbe dovuto diventare noto come quello dei Chicago Bulls.
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— Como1907 (@Como_1907) August 1, 2022
Con il passare del tempo però è risultato chiaro come la citazione della nota franchigia di NBA è stata tutt’altro che una sparata a uso e consumo dei tifosi, ma un’autentica dichiarazione di intenti di quello che rappresenta l’obiettivo della proprietà per il Como. Dopo averne rafforzato le basi, la dirigenza ha deciso di alzare l’asticella per quanto riguarda la dimensione del club. Tempo fa ci provarono con Balotelli, ma le richieste del giocatore furono eccessive per una squadra all’epoca ancora in Lega Pro. L’anno scorso fu il turno dell’ex Arsenal Wilshere, rimasto solo pochi giorni. Ma anche rispetto a questi nomi, con Fabregas si è entrati in un’altra dimensione. Un’operazione come quella di Fabregas non è mai esistita nella storia del Como, che fino a oggi poteva annoverare un unico giocatore proveniente da un Mondiale con una nazionale top, il brasiliano Dirceu. Eppure il suo impatto non può essere nemmeno lontanamente paragonato a quello dell’ex campione d’Europa e del mondo, così come non reggono il confronto elementi quali Oliveira, Cauet, Raducioiu o il flop argentino Borghi, mentre i futuri campioni del mondo Tardelli, Vierchowod e Zambrotta, e il futuro campione d’Europa Barella, giocarono sulle rive del Lario a inizio carriera, poco conosciuti anche a livello nazionale.
Intervistato dal quotidiano La Provincia di Como, il giornalista Sky Gianluca Di Marzio ha dichiarato che “Fabregas può essere un punto di riferimento per la società, in termini di aumento della propria professionalità, ma non solo. Per l’esterno è un segnale importante, un salto di qualità del brand Como, e quindi uno stimolo anche per chi vorrà eventualmente venire a giocare sulle rive del Lario. E’ un segnale che la proprietà indonesiana ha intenzione di essere protagonista nel calcio italiano”. Una vetrina insomma, come quella rappresentata dal nuovo Como store aperto a due passi dalla Piazza del Duomo, in pieno centro, con costi di affitto difficilmente ammortizzabili ma importante per agire da biglietto da vista per la squadra. Se è vero che la città di Como non ha bisogno del calcio per incrementare la propria capacità attrattiva, è indubbio come una società solida e sportivamente rilevante possa produrre un indotto positivo per il territorio. Per contro il club può sfruttare il potenziale turistico e commerciale della città per generare risorse e profitti.
Rimane, sullo sfondo, il discorso legato all’aspetto puramente sportivo. Molti sostengono che un Fabregas al 30% della forma (è reduce da tre stagioni al Monaco caratterizzate da problemi fisici in continuazione) riuscirebbe comunque a fare la differenza in Serie B, campionato però dove si corre molto. C’è anche il rischio che, senza una squadra un minimo adeguata attorno a sé, possa ritrovarsi a predicare nel deserto. Resta tuttavia una scommessa importante e intrigante del nostro calcio, ben lontana da operazioni stile cimitero degli elefanti andate in scena un po’ troppo spesso negli ultimi anni.