Stiamo toccando il fondo, da tutti i punti di vista. Sul piano della politica politicante il panorama è più che mai deprimente. La geniale strategia di Enrico Letta, imperniata sulla rottura dell’alleanza coi Cinquestelle, sta portando il Pd in un vicolo cieco che agevolerà la vittoria annunciata della destra a guida Meloni. Non è poi un grosso danno, dato che in fondo i programmi dell’uno e dell’altra si equivalgono, a parte qualche chiacchiera incoerente del primo sui diritti civili.
Non resta al sereno Letta che sperare nell’abitudinarismo bovino del suo elettorato, in parte convinto in buona fede che, dopo aver avallato per tanti anni le peggiori porcherie, si possa rispolverare il vessillo dell’antifascismo. Ma l’antifascismo è un’altra cosa. Esso fu espressione di una lotta di massa contro il regime che aveva portato il Paese in una guerra disastrosa e, al termine di una stagione gloriosa, portò, per la prima volta nella storia italiana, all’instaurazione di una effettiva democrazia e al varo della Costituzione repubblicana, che afferma per prima cosa che l’Italia è una Repubblica basata sul lavoro.
Questa democrazia e questa Costituzione sono stati da tempi abbandonati, né può dirsi che la responsabilità sia solo della destra. Il governo tecnocratico di Draghi è durato poco più di un anno, ma in tale breve periodo ha portato alle estreme conseguenze il modello di governo oligarchico che operava già da tempo, anche se mai in modo così smaccato.
Due sono stati come è noto i principi ispiratori di questo governo: il primo che l’interesse pubblico si realizza soddisfacendo quelli dei privati, cosiddetto neoliberismo; il secondo che sul piano delle scelte internazionali occorre obbedire tacendo alle direttive che vengono da Washington, anche se suscettibili di trascinarci tutti in una guerra senza fine, cosiddetto atlantismo. Due principi che sono al cuore dei programmi del Pd, coi suoi cespugli di destra e di “sinistra”, come pure della destra. Quest’ultima enfatizza determinati aspetti, come l’avversione ai migranti e quella alle tasse, ma non può certo dirsi che, su entrambi tali temi come su altri, il Pd, totalmente succube di Draghi, abbia saputo dire o fare qualcosa di anche lievemente diverso.
La strategia di Letta è del tutto demenziale e perdente anche perché si illude che, farcendo le sue liste di un ceto politico alla disperata ricerca di reddito contro la cittadinanza, si tratti di Renzi o di Calenda di Di Maio o di Brunetta, esso riuscirebbe in qualche modo a contrastare la vittoria delle destre. Inspiegabile anche la scelta di Fratoianni e Bonelli di confluire a loro volta nel minestrone lettiano. Le contraddizioni sono evidenti anche rimanendo alla superficie dei nomi appena evocati e delle rispettive apparenze programmatiche. Quindi non può funzionare e l’unico risultato che determinerà sarà un’ulteriore frustrazione in una base militante più che mai sconcertata.
Gravi perplessità induce però anche la scelta di Conte di perseguire una scelta esclusivamente identitaria, nell’illusione di tornare alle radici di un fenomeno, quello dei Cinquestelle, oramai irrimediabilmente esaurito. Sarebbe stato meglio accogliere l’appello unitario proveniente da unione popolare, che avrebbe consentito di mettere in campo una coalizione composta da forze tra di loro differenti ma accomunate dalla volontà di contrapporre all’agenda Draghi, espressione di esigenze e strategie del capitale finanziario e della Nato, un’agenda sociale, ambientale e pacifista.
Tale agenda però resta indispensabile, in quanto unica via d’uscita alla crisi catastrofica dell’Italia di oggi, devastata dalla pandemia e da Draghi. Chi non si rassegna al degrado ambientale, all’aumento vertiginoso delle diseguaglianze, al dilagare della povertà, alla crisi esistenziale e culturale della gioventù, all’aumento delle spese militari che vanno a profitto dell’industria bellica saldamente bipartisan, da Crosetto a Minniti, all’imminente disastro energetico che coincide paradossalmente colla crescita enorme dei profitti dell’Eni, al venire meno di ogni coesione sociale che già si manifesta colle aggressioni razziste e omofobe che si moltiplicano, deve oggi abbandonare ogni ambiguità, sostenendo l’alternativa, che non solo è necessaria ma anche e soprattutto urgente.
Oggi questa agenda sta trovando dei protagonisti politici che, nelle difficilissime condizioni determinate dal restringimento senza precedenti degli spazi democratici, combatteranno nei prossimi giorni una battaglia decisiva a partire dalla raccolta delle firme necessarie per la presentazione di liste alternative alla finta contrapposizione tra Pd e destre. Mi riferisco in primo luogo ad Unione popolare, la nuova coalizione con a capo Luigi De Magistris e la partecipazione determinante di Rifondazione comunista e Potere al popolo.
Se la politica ufficiale, nelle sue varie componenti, si sta suicidando, a detrimento del popolo italiano e quindi di ciascuno di noi, quella della politica resta, come insegna Aristotele, un’esigenza insopprimibile che dovrà trovare nuove strade per imporsi nei prossimi mesi ed anni, fuori e dentro i circuiti istituzionali.