Il premier ungherese è stato travolto dalle accuse nazionali e internazionali per un suo intervento nel corso del suo ultimo viaggio in Romania, dove ha definito l’Europa “un conglomerato di popoli”, specificando che non trova giusto che gli Stati europei vengano abitati da “popoli di razza mista”. Le accuse di razzismo si aggiungono così ai problemi economici interni, al legame mai rinnegato con Putin e alle pressioni di Bruxelles sullo Stato di diritto
Isolato, paragonato a un nazista, contestato. Le ultime settimane del leader ungherese Viktor Orban non sono state semplici: le sue parole in un incontro pubblico con alcuni studenti in Romania, dove ha definito l’Europa “un conglomerato di popoli”, specificando che non trova giusto che gli Stati europei vengano abitati da “popoli di razza mista”, non sono piaciute né in patria né all’estero. La dimostrazione è data dai fischi che hanno accolto il premier ungherese a Vienna prima dell’incontro con il cancelliere Karl Nehammer lo scorso 28 luglio. In patria, invece, una delle sue consigliere più fedeli, Zsuzsa Hegedus, lo ha duramente attaccato, paragonandolo al ministro della propaganda nazista Joseph Goebbels, prima di ritirare il tutto sostenendo che la parziale retromarcia di Orban, che ha definito la questione “un fraintendimento”, fosse più che sufficiente. Anche il Parlamento europeo ha voluto dire la sua sull’accaduto. “Noi, leader dei gruppi politici della plenaria di Bruxelles, condanniamo fermamente la recente dichiarazione apertamente razzista del primo ministro Orbán. Non c’è posto per il razzismo, la discriminazione e l’incitamento all’odio nelle nostre società”, hanno dichiarato. Mentre la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, ha ricordato che “tutti gli Stati membri dell’Ue, inclusa l’Ungheria, hanno sottoscritto valori globali comuni. Sono universali e non in vendita. Discriminare in base alla razza vuol dire calpestare questi valori”.
Il tentativo di sviare dai reali problemi dell’Ungheria
Oltre al riferimento alla razza mista e alla differenza tra l’Europa occidentale e la regione dei Carpazi, nel discorso di Orban agli studenti non è mancato anche un riferimento alla questione demografica e all’importanza della lotta contro gli “arabi”. “Non nego gli altri problemi, ma davvero penso che il calo delle nascite sia uno dei problemi più gravi dell’Europa, insieme al gender e all’immigrazione, sul quale si combatterà una battaglia storica nei prossimi anni”, ha dichiarato il premier. Le questioni sollevate da Orban però sembrano essere sempre più un tentativo di distrarre gli ungheresi dai problemi interni di natura soprattutto economica e sociale. Orban ha sì condannato, il 6 aprile, oltre un mese dopo l’inizio della guerra, l’aggressione russa all’Ucraina, ma non ha mai rinnegato l’amicizia con Vladimir Putin, un legame che nemmeno il 24 febbraio è riuscito a scalfire. A rinsaldarlo ulteriormente c’è persino la nomina dello scorso maggio di Kristóf Szalay-Bobrovniczky, ex ambasciatore a Londra e uomo d’affari attivo nel settore dell’industria ferroviaria grazie al sostegno delle banche russe, a ministro della Difesa. Tutto questo è valso a Orban l’ostilità anche dei suoi storici alleati del gruppo di Visegrad come la Polonia, da sempre fieramente antirussa: non è un caso che Jaroslaw Kaczynski, vice primo ministro polacco e leader del partito nazionale conservatore, il PiS, abbia detto che “se Orban non riesce a vedere i crimini di guerra russi in Ucraina forse dovrebbe fare un controllo della vista”.
Una linea decisamente più dura sembra essere quella intrapresa da Bruxelles: l’Unione europea ha già da aprile avviato una procedura di infrazione contro l’Ungheria per la violazione dei meccanismi dello Stato di diritto e bloccato i fondi del Next Generation Eu. Una decisione che sembra essere ulteriormente confermata dall’uscita a inizio luglio di un report europeo sullo Stato di diritto che valuta il potenziale impatto che potrebbero avere le sanzioni finanziarie sugli Stati membri. Nel documento viene sottolineato come sarebbe giustificato e necessario sospendere tutti i finanziamenti comunitari all’Ungheria, visto che le sue violazioni dello Stato di diritto sono così gravi, di lunga data e sistematiche da non mettere al sicuro da corruzione e abusi nemmeno un euro.
L’inflazione e i problemi economici
Una delle questioni certamente più spinose per l’Ungheria è l’inflazione galoppante, un problema comune anche ad altri Paesi dell’Europa orientale, come la Repubblica Ceca. Ad oggi il tasso inflattivo dell’Ungheria è dell’11,7%, in rialzo rispetto al 10,7 dei mesi scorsi e destinato ad arrivare al 13-14 tra settembre e ottobre. Una crescita vertiginosa che non si vedeva da 24 anni e che non sembra destinata ad arrestarsi, secondo quanto riportato da un report del gruppo bancario ING. Come sottolinea il documento, è l’inflazione alimentare a essere quella più in crescita, con dati che evidenziano un’accelerazione dal 15,6% di maggio al 22,1% di giugno, con molti prezzi saliti rapidamente di oltre il 40% su base annua. Una situazione che non si rispecchia negli stipendi della maggioranza della popolazione, il cui valore medio annuale è di circa 13,5 milioni di fiorini ungheresi, che al tasso di cambio sono circa 33mila euro. Un dato “falsato” dalle buste paga di chi vive nella capitale Budapest, con salari decisamente superiori a quelli delle altre contee. In un simile quadro il governo ha per il momento soltanto deciso di aumentare le accise su alcool e tabacco e l’imposta su alcuni prodotti che possono incidere sulla salute pubblica, come quelli zuccherati e salati.
La questione sociale e le proteste
Vista la situazione economica, l’era delle generose politiche sociali sembra essersi conclusa e gli aiuti a famiglie e categorie sociali, promessi durante la campagna elettorale della scorsa primavera, sembrano essere il passato. Non è un caso che Orban abbia accusato le opposizioni di “tradimento” per aver agevolato i dubbi dell’Ue sulla concessione dei 7,2 miliardi del Next Generation Eu a Budapest, visto che quei soldi servono per aumentare gli stipendi di medici e insegnanti, due delle categorie lasciate ai margini delle politiche del premier, che infatti sono sul piede di guerra. A metà luglio lavoratori autonomi e piccole imprese si sono visti aumentare in modo significativo le tasse dalla riforma Kata, che difatti aumenta le entrate fiscali dello Stato di centinaia di milioni di euro a partire dal prossimo autunno restringendo la platea dei beneficiari dell’aliquota unica. Migliaia di persone hanno protestato per giorni in piazza Kossuth a Budapest ma le manifestazioni sono state subito sedate dalla polizia. Scene simili non si sono mai viste nell’Ungheria di Orban: per questo su molti giornali si comincia a paragonare la parabola di Fidesz a quella del Partito Socialista Operaio degli anni ’80, precedente alla sua caduta a fine decennio. “Il parallelo è del tutto reale, con la differenza che Fidesz esercita un controllo sulle persone molto maggiore di quanto non abbia fatto l’ex Stato partito negli ultimi anni. Per questo serviranno membri di Fidesz riformisti e dal ‘volto umano’ per riformare il sistema, proprio come nel 1988-89”, ha dichiarato in un’intervista al giornale ungherese Népszava il ricercatore Stefano Bottoni, padre italiano e madre di Budapest e oggi docente all’Università degli Studi di Firenze.