La partita delle sanzioni si gioca nel lungo termine. La carenza di forniture dall'estero di prodotti come chip o componentistica è destinata ad erodere progressivamente la capacità industriale russa ma nel frattempo l'economia si adatta. L'apparato sanzionatorio è imponente ma poroso, visto che non vi partecipano grandi economie come India o Cina. Banca centrale e governo sono stati abili nel reagire velocemente alle prime fasi di caos seguite all'invasione
Più che sui campi di battaglia la vera forza d’élite al servizio di Vladimir Putin andrebbe forse cercata negli uffici di Mosca. Nelle stanze in cui una manciata di economisti e tecnocrati sta parando il colpo delle pesanti sanzioni imposte dai paesi occidentali. A reggere il timone sono la governatrice della banca centrale Elvira Nabiulina, il ministro delle Finanze Anton Siluanov coadiuvati dal quarantenne consigliere economico Maxim Oreshkin meno noto ma, secondo l’agenzia Bloomberg, principale artefice della tenuta del sistema economico e finanziari russi. Al completare la squadra ci sono il vice governatore della banca centrale Alexey Zabotkin, 44 anni ed il vice ministro delle Finanze Vladimir Kolychev, 39 anni. Sono tutti laureati nelle più prestigiose scuole economiche russe e con esperienze all’estero.
La partita delle sanzioni si gioca nel lungo termine. La carenza di forniture dall’estero di prodotti come chip o componentistica ad alto valore tecnologico che la Russia non produce è destinata ad erodere progressivamente la capacità industriale del paese ma più il tempo passa più l’economia ha anche margini di adattamento. L’apparato sanzionatorio è imponente ma poroso, visto che non vi partecipano grandi economie come India o Cina, già da tempo primo partner commerciale di Mosca. La sfida economica si giocherà sulla capacità della Russia di dirottare i suoi flussi commerciali in uscita ed entrata verso paesi “amici” da un lato e sulla tempistica europea per sganciarsi dalle fonti energetiche russe dall’altro. Tuttavia, per ora, l’auspicato collasso dell’economia russa non c’è stato. La banca statunitense Jp Morgan ritiene che il paese finirà in recessione ma con un calo del Prodotto interno lordo del 3,5%, vale a dire meno della metà di quanto inizialmente ipotizzato. Parte del merito va all’idea di Oreshkin di adottare il meccanismo di “pagamento in rubli” per gas e petrolio russo a cui tutti i paesi europei hanno finito per sottostare. Le aziende straniere continuano a versare dollari ed euro nelle banche russe per comprare idrocarburi ma le somme vengono poi convertite in valuta locale. Questo fa si che Mosca continui a disporre di monete pregiate e permette al rublo di non deprezzarsi.
Il crollo iniziale della valuta russa è stato arginato grazie alle rapida reazione della banca centrale: controllo dei capitali, dirottamento dei profitti delle aziende nazionali a sostegno della valuta domestica e maxi aumento dei tassi di interesse fino al 20%. Misure che sono state poi gradualmente ridimensionate quando la moneta ha recuperato vigore grazie al continuo afflusso di capitali esteri. Mosca si trova oggi a gestire un problema opposto, la sopravvalutazione della moneta che rischia di penalizzare ulteriormente la competitività dell’industria nazionale. La banca centrale starebbe a tal fine già operando sui mercati valutari di valute “amiche” come lo yuan cinese o la rupia indiana, per meglio calibrare la forza del rublo.
L’esclusione di gran parte delle banche russe dal network internazionale di messaggistica bancaria Swift e il congelamento delle riserve della banca centrale russa detenute “fisicamente” all’estero (per un controvalore complessivo di circa 400 miliardi di dollari) non sono stati quei colpi da k.o. che qualcuno si attendeva. La decisione di pilotare la Russia verso un default artificiale sui suoi bond denominati in valuta estera bloccando i conti e rendendo quindi impossibile pagare le cedole ai detentori esteri, sembra essere stata addirittura un auto gol, lasciando a Mosca risorse aggiuntive per pagare la guerra. Il paese d’altronde non ha necessità di finanziarsi sui mercati finanziari internazionali emettendo obbligazioni. Ogni giorno la Russia incassa circa un miliardo di euro vendendo petrolio e gas che, per ora, sono sostanzialmente esenti da sanzioni. Per contro gli acquisti dall’estero sono crollati e questo genera maxi surplus, da 70 miliardi di dollari al mese, nella bilancia commerciale (differenza tra valore delle esportazioni e delle importazioni).
I flussi di gas e petrolio verso l’Ue sono scesi ma il contestuale incremento delle quotazioni porta inflazione in Europa e garantisce il mantenimento dei ricavi di Mosca. La produzione del colosso statale del gas russo Gazprom è scesa in luglio sui livelli più bassi dal 2008 (anno di crisi internazionale) e le esportazioni sono diminuite per il quarto mese di fila. In luglio il gruppo ha distribuito in media 774 milioni di metri cubi di gas al giorno, il 14% in meno di giugno e il 12% in meno di un anno fa. La flessione dipende però per lo più dalle strategie di Mosca che sta centellinando il gas inviato alla Germania e temporeggiando sulla ripresa dei flussi attraverso la condotta Nord Stream che collega le coste russe con quelle tedesche. Nel frattempo la Russia incrementa le esportazioni verso paesi come Cina e India. Gazprom ha fatto sapere oggi di aver aumentato del 61% le forniture di gas alla Cina attraverso il gasdotto Forza della Siberia tra gennaio e luglio. Diversi paesi tra cui India, e persino l’Arabia Saudita, acquistano sempre più petrolio russo, che viene venduto a sconto rispetto alle quotazioni di mercato comunque alte, per poi raffinarlo e rivendere i prodotti ottenuti sui mercati di tutto il mondo.
Quella delle triangolazioni è una tecnica classica per aggirare le sanzioni e non riguarda solo i prodotti energetici. Imprese occidentali starebbero utilizzando filiali basate in altri paesi o società di appoggio per far arrivare i loro prodotti dentro i confini russi. Per quanto riguarda aziende italiane molte farebbero perno sulla Turchia come mostrano i più recenti dati sull’interscambio commerciale tra Italia e Turchia e Turchia e Russia riportati dal Corriere della Sera. Ma già in aprile Ilfattoquotidiano.it aveva dato conto dello stesso schema utilizzato da società italiane attraverso il Kazakistan. Di recente Vladimir Putin ha incontrato a Teheran, il presidente turco Recep Tayyp Erdogan ed Ebrahim Raisi, presidente dell’Iran. Il paese ha una lunga esperienza quanto a tecniche di aggiramento delle sanzioni e anche di questo si è discusso. Interpellato sull’argomento il consigliere economico Oreshkin ha però spiegato come le contromisure adottate da Mosca siano “molto migliori” ed efficaci di quelle iraniane.
Le imprese russe del resto possono legalmente fare affari con numerose grandi economie mentre l’efficacia delle sanzioni è proporzionale all’estensione dei paesi che vi aderiscono. Nel frattempo circa 700 imprese estere hanno abbandonato la Russia ma parte di questi vuoti sono stati riempiti da imprenditori locali. Su questo punto Oreshkin ha spiegato che il governo russo non intende abbandonare l’economia di mercato. Anzi, intende fare l’opposto. “L’iniziativa privata è ora specialmente incoraggiata come il presidente ricorda abitualmente nei suoi interventi”, ha aggiunto.