Anche British Petroleum si unisce alla grande festa delle compagnie petrolifere. Il gruppo inglese ha presentato una trimestrale che evidenzia un utile netto di 8,4 miliardi di dollari tra aprile e giugno, il più alto dal 2008 e ben al di sopra delle previsioni degli analisti. La società ha quindi deciso di accelerare il programma di riacquisto delle azioni proprie stanziando a tal fine altri 3,5 miliardi di dollari che si aggiungono ai 3,8 miliardi del primo trimestre. La tecnica è utilizzata per aumentare il valore dei titoli in borsa riducendone la quantità in circolazione e andando quindi ad incidere soprattutto sull’ utile per azione, parametro a cui sono solitamente legati i bonus per la dirigenza. Il dividendo per gli azionisti è stato alzato del 10% a sei centesimi per azione. Come tutti gli operatori del settore BP ha approfittato delle alte quotazioni di petrolio e gas e dal conseguente incremento di prezzo dei prodotto raffinati (benzina, gasolio etc) venduti sui mercato. Gli utili sono però stati spinti molto anche dall’attività di semplice trading.
“I risultati di oggi mostrano che BP continua a funzionare mentre si trasforma”, ha dichiarato l’amministratore delegato Bernard Looney riferendosi ad una presunta svolta verte della compagnia messa in dubbio da diversi rapporti di società indipendenti. La società “fornisce petrolio e gas di cui il mondo ha bisogno oggi, e allo stesso tempo investe per accelerare la transizione energetica”, ha aggiunto Looney. La compagnia ha affermato che, nonostante i segnali di rallentamento dell’economia, si aspetta che i prezzi del petrolio e del gas naturale e i margini di raffinazione rimarranno elevati nel terzo trimestre a causa delle interruzioni dell’approvvigionamento russo, delle scorte relativamente basse e della ridotta capacità inutilizzata. Nei giorni scorsi tutti i big hanno diffuso bilanci da lustrarsi gli occhi. Le statunitensi Exxon e Chevron hanno riportato profitti rispettivamente per 17,8 e 11,6 miliardi di dollari, la britannica Shell 11,4 miliardi, la francese Total 9,8 miliardi, l’italiana Eni 5,8 miliardi. Gran parte di questi guadagni sono stati però destinati a dividendi e riacquisti di azioni a beneficio dei soci piuttosto che ad investimenti che avrebbero favorito un aumento della produzione e quindi un allentamento delle tensioni sui prezzi di gas, petrolio e carburanti.