di Pietro Francesco Maria De Sarlo

Uno dei punti dell’agenda Draghi, rilanciato nel discorso al Senato, è l’autonomia differenziata. Frutto dei referendum del 2017 in Veneto e Lombardia, sono nati dalla propaganda antimeridionale dell’Osservatorio del Nord di Luca Ricolfi che pare si candidi con FdI. Il contenuto è la sottrazione degli accordi Stato-Regioni alla potestà del Parlamento e il mantenimento degli attuali differenziali di spesa pubblica pro capite tra le regioni d’Italia per sempre. Nel Sud è di circa cinquemila euro l’anno inferiore a quella del Nord Ovest, ossia 100 miliardi l’anno in totale. L’indice di correlazione con il Pil pro capite è elevatissimo: 0,8.

I precedenti risalgono al governo Gentiloni che nel febbraio 2018 firmò, nottetempo e quasi di nascosto, un accordo con i governatori Zaia e Fontana (Lega Nord) e Bonaccini (Pd). Di recente Gelmini ha presentato un ddl che ricalca l’accordo Gentiloni e a cui si sono aggiunti i governatori Ciro (FI) e Giani (Pd). Per completezza l’autonomia differenziata era compresa nell’accordo del governo gialloverde.

Tutti i partiti, compreso Calenda che dice di dichiarare i programmi, devono esporre, specialmente al Sud, il proprio orientamento su una riforma palesemente incostituzionale e che di fatto mina alla base le fondamenta dello stato unitario. Mentre sarebbe utile anche conoscere la loro visione dei problemi del Sud e le soluzione conseguenti. A sostegno dell’autonomia si cita, sempre a sproposito, il residuo fiscale e quindi un ripasso concettuale sulla materia va fatto.

Il padre del residuo fiscale è il Nobel James Buchanan (Federalism and fiscal equity, 1986). In pillole: con questo termine si intende la differenza tra quanto i singoli individui forniscono al finanziamento pubblico e quanto ricevono in termini di servizi pubblici. Poiché il presupposto di ogni comunità politica o sociale, piccola a piacere, è quello dell’omogeneo trattamento in tutta la comunità delle persone a parità di reddito, ne consegue che in qualsiasi parte di essa l’individuo decida di risiedere riceverà lo stesso trattamento. Il residuo fiscale di un territorio deriva semplicemente dal fatto che in quel territorio per vari motivi sono concentrati individui con redditi più elevati.

Buchanan, su queste basi, giustificò il differente residuo fiscale tra i vari stati degli Usa e, nella parte più liberista del mondo, il trasferimento di risorse dagli stati più ricchi a quelli più poveri. Mutatis mutandis questo vale anche per le regioni italiane, per le province all’interno della stessa regione, per le città all’interno della stessa provincia, per i quartieri all’interno della stessa città e persino all’interno di un condominio. Quindi proprio per il contesto teorico che giustifica il residuo fiscale l’autonomia differenziata significa proporre la secessione, oltre a una manifesta incapacità culturale di chi la mette in agenda, anche se si chiama Draghi. A riprova se su questa base si chiede l’autonomia differenziata regionale, poi qualcuno chiederà quella provinciale, quella comunale quella di quartiere ecc. e viene meno qualsiasi sentimento di comunità.

Se ci dobbiamo dire la verità questo progetto viene sempre inserito a fine legislatura per inseguire le basse pulsioni antimeridionali dell’elettorato del Nord, tanto all’elettorato del Sud va bene quasi sempre tutto. I tempi sono però mutati e il rischio che nel nuovo Parlamento questa riforma venga fatta sono significativi, visto che tra il becero sentimento nordista anti meridionale della Lega e l’agenda Draghi-Letta c’è una sostanziale saldatura sul tema. Al Sud vorremmo avere parole chiare da tutti i partiti, giusto per capire se varrà la pena scomodarsi per recarsi al seggio.

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