Non sono andati a scovarlo tra le impervie montagne al confine con il Pakistan e nemmeno in una delle safe house di al-Qaeda. Ayman al-Zawahiri, il leader dell’organizzazione terroristica fondata da Osama bin Laden, si trovava là dove nessuno, tranne l’occhio lungo della Cia, pensava di poterlo trovare: in un’abitazione nel cuore della capitale dell’Afghanistan, Kabul. L’uccisione del capo de La Base racconta molto dei rapporti tra l’organizzazione terroristica più famosa del mondo e i nuovi signori dell’Afghanistan, i Taliban. Una storia di rapporti mai interrotti, di fiducia reciproca e, forse, anche di tradimenti in nome dell’apertura di un canale internazionale per il nuovo Emirato Islamico.
L’elemento chiave è proprio il luogo scelto dal dottore egiziano per condurre gli ultimi mesi della sua latitanza, con una taglia da 25 milioni ancora sulla sua testa: una casa di proprietà di Sirajuddin Haqqani, ministro dell’Interno talebano e figlio di Jalaluddin, fondatore del celebre Haqqani Network, uno dei gruppi più sanguinari schierati sotto la bandiera dei Taliban e storicamente anello di congiunzione tra gli Studenti coranici e l’organizzazione di Osama bin Laden, soprattutto dopo le morti dello Sceicco del Terrore e della guida spirituale mullah Omar. La copertura offerta dalla famiglia Haqqani dimostra che lo stretto legame tra il gruppo tornato al potere in Afghanistan e l’organizzazione madre del jihad globale non si è mai allentato. Inutili, quindi, le promesse pubbliche offerte dai capi negoziatori di Doha che agli Stati Uniti assicurarono che con il loro ritorno al potere il Paese non sarebbe mai più stato un rifugio per terroristi, compresi quelli di al-Qaeda, impegnandosi a combattere i gruppi estremisti sul proprio territorio. Le purghe talebane nei confronti dello Stato Islamico non hanno colpito invece al-Qaeda che, come dimostra questa uccisione, continuava a godere della protezione dei leader afghani.
Il fatto che al-Zawahiri si trovasse proprio nella capitale afghana, seppur in una casa considerata sicura, dove la presenza di agenti stranieri è sicuramente più folta rispetto ad altre zone del Paese storicamente feudo talebano, come ad esempio Kandahar, fornisce anche altri particolari. Sicuramente dice che i vertici di al-Qaeda si fidavano ciecamente dei Taliban, tanto da mettere nelle loro mani la vita del proprio leader in un’area in cui poteva essere maggiormente esposto agli attacchi dei servizi internazionali. Segno che negli anni il rapporto di fiducia non si è mai intaccato. Dall’altra, però, potrebbe suggerire anche che tra le fila degli Studenti coranici, se non proprio al vertice del gruppo, qualcuno potrebbe aver ‘venduto’ la testa del terrorista egiziano agli Stati Uniti. Le dichiarazioni uscite da Washington e da Kabul non aiutano certo a fare chiarezza, con i rappresentanti di Usa ed Emirato Islamico che si limitano al gioco delle parti. Se il segretario di Stato, Antony Blinken, indica la presenza di al-Zawahiri in un’abitazione in mano agli Haqqani come “una grave violazione degli accordi di Doha”, il portavoce talebano Zabiullah Mujahid ha condannato fermamente l’azione Usa, definendola una violazione dei “principi internazionali”. Se una collaborazione tra le due parti ci fosse in effetti stata, entrambe non potrebbero certo dichiararlo pubblicamente.
Non è però la prima volta che i Taliban manifestano il proprio appoggio ai vertici di al-Qaeda, nonostante gli accordi di Doha. Meno di un anno fa, con il gruppo di nuovo al potere da appena 15 giorni, avevano fatto discutere le immagini del ritorno di Amin ul Haq, ex capo della sicurezza di Osama bin Laden, in Afghanistan, accolto con tutti gli onori dai suoi seguaci nel Paese. D’altra parte, rinnegare il proprio passato, quando alla guida del gruppo c’era ancora il mullah Omar, e tradire la lunga collaborazione con La Base rischierebbe di destabilizzare il già precario equilibrio interno tra i vari gruppi locali che agiscono sotto la bandiera dei Taliban. Lo dimostrerebbero anche le indiscrezioni diffuse dal giornalista Bilal Sarwary che, citando fonti interne talebane, parla di una diatriba tra coloro che vorrebbero organizzare dei funerali di Stato per al-Zawahiri e altri che, invece, preferirebbero lasciar perdere per non rafforzare il collegamento tra i due gruppi agli occhi delle cancellerie e dell’opinione pubblica internazionale. Soltanto il passare dei mesi potrà chiarire se la morte della guida di al-Qaeda cambierà, e come, i rapporti tra Kabul e i governi mondiali.