Il tennis italiano si gode il suo miglior momento storico. Mai in passato l’Italia aveva avuto così tanta abbondanza di giocatori competitivi capaci di rimanere con costanza nelle posizioni di vertice della classifica Atp. Oltre al talento a giocare a favore degli azzurri è l’età. Il primo a esplodere è stato Matteo Berrettini nel 2019, il più “anziano” con i suoi 26 anni. A seguirlo è stato Jannik Sinner fresco vincitore del torneo di Umago in Croazia. Il 2oenne altoatesino sembra avere tutte le carte in regola per diventare uno dei tennisti di riferimento del futuro. E poi c’è Lorenzo Musetti: un ragazzo con così tante qualità che è difficile metterle in ordine. Il 20enne toscano ci è riuscito due settimane ad Amburgo dove ha vinto il primo titolo Atp in carriera. Successo che gli è valso anche la miglior posizione di sempre nel ranking mondiale: 3oesimo.
In un’intervista al Corriera della Sera, Musetti si è raccontato a cominciare dal recente trionfo in Germania. “Ho avuto poco tempo per metabolizzare: il giorno dopo la finale di Amburgo sono partito con Alcaraz per Umago su un aereo privato messoci a disposizione. Quel sapore lo sto apprezzando di più ora, a freddo. In Germania ho dovuto tenere la mente più sgombra possibile, vietato cullarsi sugli allori”. Il carrarese ha ammesso che il tempo per godere del successo è stato limitato. “La felicità dura poco. Ho provato un lampo di gioia furibonda subito dopo il match point con Alcaraz, l’adrenalina della battaglia è confluita tutta lì insieme alla sofferenza, al nervosismo, a tutte le emozioni che ho provato in tre ore di partita. A ripensarci bene è stata più liberazione che felicità, come se di colpo mi fossi sbarazzato di tutte le catene che avevo nello stomaco”.
Il 2oenne azzurro è consapevole di essere cresciuto molto. “Mi sono evoluto, sono cresciuto con una combinazione di lavoro e fortuna. Nel mio caso è stato un percorso graduale, però sentivo che il botto era nell’aria. Doveva esserci una prima volta anche per me: è arrivata ad Amburgo, con Alcaraz che fuori dal campo è anche un amico, giocando la partita più bella della mia carriera”. Il primo successo in carriera non poteva che dedicarlo a nonna Maria. “Nel suo scantinato, a Carrara, è cominciato tutto. C’era uno spazio ampio, dove non correvo il rischio di fare danni con la pallina. Il mio primo maestro è stato il muro di nonna Maria, che di fronte alla dedica si è commossa. Ho perso il conto delle ore che ho passato là sotto con la racchetta e il mio babbo”. Papà Francesco a cui deve il rovescio a una mano. “Gioco il rovescio a una mano da quando avevo 9 anni: piaceva a mio padre e mi è venuto spontaneo. Simone Tartarini piuttosto a cercato di svecchiarmi: quando ci siamo incontrati facevo troppe azioni in back, troppe smorzate. Mi ha incanalato verso un tennis più moderno. Come dice lui: Lore, prima viene la torta, poi la ciliegina!”.
L’amore per il tennis è una questione di famiglia e a Musetti non sono mai stati posti paletti. “Il tennis è diventato una priorità molto presto ma i miei sono sempre rimasti tranquilli. Forse avevano la certezza che sarei riuscito a combinare qualcosa di buono. Ho visto tanti genitori rovinare il divertimento del tennis ai figli, rendendolo un obbligo anziché un piacere. I miei, invece, mi hanno sempre spinto a investire nei miei sogni”. Mamma, papà e nonna per scaramanzia guardano le finali in stanze separate. “Avevano cominciato così e hanno coltivato l’abitudine. Babbo era al mare, non ha voluto vedere nemmeno un punto però aveva degli amici che lo tenevano informato. E alla fine l’hanno buttato in acqua!”.
Inevitabile la domanda riguardo gli amici-rivali Sinner e Berrettini. “Non sono mai stato invidioso dei loro successi, anzi sono stato contento. Mi hanno spinto a fare di più e meglio, a darmi un traguardo, a non accontentarmi. Li devo ringraziare di essere arrivati prima, di avermi mantenuto in un cono d’ombra permettendomi di lavorare tranquillo e di avermi coinvolto emotivamente nelle loro vittorie. E credo che il nostro esempio stia facendo bene a tutto il movimento: Zeppieri e Agamenone in semifinale a Umago, Cobolli, Passaro e il giovane Nardi, che stanno arrivando”. Il suo marchio di fabbrica in campo è il cappellino con la visiera rivolta all’indietro. “È una necessità: nasce con i capelli lunghi, alla Borg, è una questione di vita o di morte. Ho provato anche bandana e coda, ma non funzionano altrettanto bene”.