Musica

Fulminacci mi ha mandato all’inferno (ma la colpa è mia)

Sono andato al concerto di Fulminacci, pseudonimo di Filippo Uttinacci, un cantante che mi incuriosisce. Anche per aver vinto la Targa Tenco come miglior Opera prima e aver avuto il Premio MEI come miglior giovane dell’anno, nel 2019. Per ascoltarlo sono andato ad Assisi. È così che sono tornato ad un concerto, dopo più di trent’anni. Ed è stato un disastro, emozionale.

Fulminacci ha 24 anni. E’ poco più di un ragazzo. Intorno a me, ad ascoltarlo c’erano quasi esclusivamente giovani. Ragazze e ragazzi, soprattutto del posto. Ma anche “da fuori”. Voglia di cantare e divertirsi, tanta.

Guardandomi intorno ho visto anche altri “grandi”. Li ho riconosciuti non per come erano vestiti. Ormai siamo tutti “giovanili”. Nel vestiario. Li ho riconosciuti per la poca voglia di divertirsi. Per i sorrisi solo accennati. Per le movenze, compassate. Per i pensieri “dentro”. Repressi, più che inespressi.

Fulminacci è un cantante per giovani. Io l’ho conosciuto per questioni “affettive”. Ma confesso che mi piace. Mi piacciono molti dei suoi testi. “E tutto quello di cui non si parla poi ti fa paura/Ma a me mi fa paura tutto/ E non lo vedi che divento matto/Ma se lo faccio ci sarà un motivo …”, mi sembra bella. Tutta Un fatto tuo personale, mi sembra bella. “Lo so che è tardi/Che sei partita/Ma quest’estate/Non è iniziata e non è finita/Vorrei che fossi/Su questo tetto/Su quella spiaggia”, mi immalinconisce. Tutta Le biciclette mi travolge.

Il concerto è iniziato. Dietro a me avevo un ragazzo che sapeva tutte le canzoni. Ogni singola parola, di tutte le canzoni. Davanti mi hanno colpito le coppie. Che si abbracciavano ed ogni tanto si baciavano. Avevano gli occhi che brillavano. Di felicità. In realtà si abbracciavano e baciavano in tanti. Tra una birra e l’altra.

Fulminacci, credo sia bravo. La mia conoscenza musicale è superficiale. Approssimativa. Mi colpiscono più i testi che le sonorità. Che al massimo orecchio. Da eterno neofita. I concerti prevedono sempre un’escalation. La scaletta delle canzoni è un’arrampicata, prima “facile”. Poi, progressivamente “più complicata”. Un viaggio, breve, verso l’esaltazione delle emozioni. Positive. La meta è la felicità, anche se momentanea. Ed infatti si vedeva che era proprio così. Per quei ragazzi, tutti in piedi. A ripetere strofe e a muoversi, quasi naturalmente. Ad ubriacarsi di musica. Insomma Filippo, come lo hanno chiamato in molti amichevolmente, è riuscito nel suo intento. Coinvolgere.

Peccato che quella felicità dilagante non mi abbia contagiato. Anzi. Ma questo non è un demerito di Fulminacci. Lui ce l’ha messa tutta. “Io però ci penso sempre e non lo dico mai/Che cosa non farei per rimanere qui/ No che non mi basta niente e non mi passa mai/ Questo dolore profondo/ E pure stanotte non dormo/Ti ricordi di me?”. Di Meglio di così mi ha colpito questa strofa. Invece, di Sembra quasi, “Vorrei dare una spinta al mondo/ Per tagliare lo spazio e il tempo”. Più le canzoni andavano, più ho avuto l’impressione di essere finito dentro una bolla. Che mi permetteva di vedere “fuori”, rendendomi però quasi impermeabile a quel profluvio di sorrisi. A quella pazza gioia.

Così quando il concerto è finito ho sentito l’irrefrenabile desiderio di scappare fuori. Dal momento che quello di confondermi con gli altri era evidentemente impossibile. Non solo per l’età, ma anche per le sensazioni.

Evviva Fulminacci e abbasso quelli come me che ascoltano i testi, facendosi travolgere dalle emozioni. Acri.