Dallo Stoke City di Tony Pulis all’Arsenal di Mikael Arteta. Così hanno scritto Micheal Cox e Mark Carey su The Athletic per sintetizzare i progressi della nazionale inglese femminile fresca campionessa d’Europa per la prima volta nella sua storia. Un successo di pubblico ma soprattutto di campo, sia a livello statistico, sia riguardo la brillantezza della proposta calcistica. Dopo la finale, vinta stabilendo il record assoluto di reti segnate (22) in un campionato europeo maschile o femminile, è arrivato anche il commento di Pep Guardiola: “Alle inglesi vanno dati tutti i meriti possibili. Anni fa non c’era molta attenzione per il calcio femminile, ma questo è cambiato perché hanno compiuto passi da gigante nel modo in cui giocano”. Basterebbe un dato: rispetto all’Europeo 2017, l’Inghilterra ha incrementato del 21% la propria percentuale di passaggi completati, toccando quota 83.4%. Ma sono cresciuti anche l’accuratezza nei cross e il rapporto tra tiri in porta effettuati e reti segnate.
Sulla panchina delle Lionesses siede l’olandese Sarina Wiegman, diventata la prima allenatrice a vincere un Europeo con due nazionali diverse. In entrambi i casi, nel 2017 con l’Olanda e oggi con l’Inghilterra, si è trattato del primo grande successo delle rispettive squadre. Nel caso delle arancioni, il titolo era poi stato seguito dal secondo posto al Mondiale 2019, certificando la definitiva crescita di un movimento fino a dieci anni prima relegato nell’angolo del dilettantismo e privo di riscontro de parte del pubblico. Con l’Inghilterra invece si è trattato di mettere il punto esclamativo a un periodo di forti investimenti e colmare definitivamente la distanza che separa l’élite (alla quale le inglesi già appartenevano, visto che nei tre precedenti Europei erano sempre arrivate tra le prime quattro) dal top, chiudendo il cerchio di un processo di completa professionalizzazione del movimento iniziata cinque anni fa.
Wiegman è sempre stata ossessionata da concetti quali professionalità e professionismo, assorbiti per la prima volta a 16 anni nel corso di un’esperienza da calciatrice all’Università del North Carolina sotto la guida di Anson Dorrance, all’epoca tecnico della nazionale Usa femminile nonché elemento capace di condurre la squadra femminile dell’Università alla vittoria di 21 titoli NCAA. A colpire Wiegman non fu solo l’abisso a livello infrastrutturale che separava il calcio femminile americano da quello del suo paese, ma la mentalità competitiva dell’ambiente e l’estrema professionalità, che richiedeva un focus totale sull’obiettivo. Una lezione i cui sviluppi si videro anni dopo, quando nel 2007 venne creata la Eredivisie Vrouwen, il campionato nazionale femminile olandese, e fu chiamata sulla panchina dell’Ado Den Haag. Wiegman, all’epoca insegnante di educazione fisica, decise di lasciare il lavoro per concentrarsi unicamente sulla professione di allenatrice. Uno dei punti cruciali della sua filosofia per raggiungere il successo, poi proposto sotto forma di vademecum motivazionale a tutte le atlete allenate, era il seguente: “Abbandonare la necessità di doversi sentire apprezzata, di dover piacere”.
“Idee, organizzazione e disciplina non hanno genere”, rispose una volta Wiegman a un giornalista che le fece notare come sia i propri punti di riferimento che i propri collaboratori fossero uomini: il citato Dorrance e Van Gaal nel primo caso, Foppe de Haan (due europei under-21 vinto con l’Olanda maschile) e Arjan Veurink (6 campionati olandesi femminili) nel secondo. A livello gestionale Wiegman assomiglia davvero a Van Gaal per quel misto di ossessione organizzativa, autoritarismo illuminato con i giocatori e umorismo glaciale con i media, ma la sua storia e il suo personaggio meritano una considerazione capace di andare oltre le generalizzazioni e i confronti. Una storia fatta di ambizioni e battaglie, ancora prima che di successi, arrivati comunque con ogni squadra da lei allenata. La prima fu il Ter Leede, società a una manciata di chilometri da Den Haag, condotta alla doppietta coppa-campionato nella sua prima e unica stagione da allenatrice. Ma l’autentica palestra furono gli scontri a favore di un trattamento paritario in termini di utilizzo delle infrastrutture, perché non poteva esistere emancipazione senza poter avere a disposizione il meglio. Quindi pretese che alla selezione maschile del Ter Leede, piuttosto modesta, non fosse concesso il campo di allenamento principale nei turni di allenamento della squadra femminile, che invece era al top in Olanda.
Wiegman ha saputo fornire un impulso straordinario a due movimenti diversi per storia, struttura e prospettive. In Olanda ha dovuto costruire, in Inghilterra è stata chiamata per vincere. In Olanda le hanno dedicato una statua nel quartier generale della Federcalcio, posizionandola accanto a quella di Rinus Michels. Chissà cosa faranno gli inglesi, adesso che “It’s coming home” non è più uno slogan deprimente (per loro) e canzonatorio (per i rivali).