Quando sono passate più di 24 ore dall’annuncio di Marco Cappato, regna il silenzio più assoluto. Nessun leader o esponente dei partiti italiani ha voluto commentare la notizia di Elena, una 69enne veneta affetta da una importante patologia oncologica polmonare irreversibile che ha deciso di andare in Svizzera per poter accedere legalmente al suicidio assistito. Ieri il tesoriere dell’associazione Luca Coscioni aveva spiegato di avere accompagnata la donna nel Paese elvetico per dare seguito alla sua richiesta di aiuto. Oggi ha comunicato che Elena è morta, scegliendo “senza costrizioni, senza imposizioni, liberamente” sul proprio fine vita, come lei stessa ha spiegato nel suo ultimo messaggio. Un video in cui ha sottolineato anche l’aspetto più drammatico della sua decisione: “Avrei sicuramente preferito finire la mia vita nel mio letto, nella mia casa, tenendo la mano di mia figlia e la mano di mio marito. Purtroppo questo non è stato possibile”.
Eppure, neanche di fronte a questa vicenda, nemmeno dopo la notizia della morte di Elena, la politica italiana ha il coraggio di esprimersi sul fine vita. Per i partiti il tema deve rimanere ben lontano dalla campagna elettorale. Mentre Cappato comunicava che la 69enne veneta era appena morta in Svizzera e che lui al rientro in Italia sarebbe andato ad autodenunciarsi, Enrico Letta e Carlo Calenda in conferenza stampa presentavano il loro accordo su spartizione dei seggi e leader di partitini candidati nelle liste bloccate per avere un posto sicuro in Parlamento. Tuttavia il Pd, insieme al M5s, solo lo scorso marzo alla Camera ha votato a favore della legge sul fine vita, che poi è rimasta impantanata al Senato. Anche il centrodestra, che votò contro, non ha comunque voluto commentare in nessun modo quanto è accaduto. Giorgia Meloni ha preferito esprimere la sua opinione sull’alleanza tra Letta e Calenda, mentre Matteo Salvini è più interessato alle sorti di una banca, Monte dei Paschi. Tra i leghisti, d’altronde, c’è anche Simone Pillon, che definì la legge sul fine vita “un suicidio di Stato“.
Eppure, il tema del fine vita interessa agli italiani: lo dimostra il “miracolo laico” di un anno fa, quando in tre mesi furono raccolte un milione e duecentomila firme a favore del referendum sull’eutanasia legale. Poi è arrivata la Consulta, a febbraio, che ha bocciato il quesito, impendendo la consultazione popolare sull’argomento. La mobilitazione dimostra però come una fetta importante dell’elettorato italiano considera l’eutanasia legale un argomento importante. I partiti, tutti, almeno in questa fase preferiscono starsene alla larga. Per paura di prendere posizione su un tema ancora divisivo, per il solito timore del cosiddetto “voto cattolico“. Senza considerare, però, che un conto sono le posizioni della Chiesa e un altro le convinzioni personali degli elettori di fede cattolica.
Il caso di Elena, invece, dovrebbe essere al centro del dibattito politico. In particolar modo perché riguarda uno dei punti più discussi della legge attualmente ferma a Palazzo Madama. La 69enne veneta infatti non ha potuto accedere al suicidio assistito in Italia perché non era “tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale“, quindi non rientra nei casi previsti dalla sentenza 242\2019 della Corte costituzionale sul caso Cappato\Dj Fabo. Per la legge italiana, quelle di Elena è stato un suicidio e Cappato – che mercoledì si autodenuncerà a Milano – rischia fino a 12 anni di carcere per l’accusa di aiuto al suicidio. La sentenza della Consulta ha reso legale il suicidio medicalmente assistito stabilendo 4 pilastri: che il paziente sia in grado di intendere e volere, che sia affetto da una malattia non reversibile, che abbia sofferenze psichiche o fisiche intollerabili, che dipenda da presidi vitali.
La stessa Corte, ormai quasi 4 anni fa, aveva sollecitato il Parlamento a varare una legge, che tuttora manca. Il testo approvato lo scorso marzo alla Camera è un primo passo, ma è decisamente “annacquato”, anche rispetto ai soli rilievi mossi dalla Consulta. “Meglio nessuna legge che una fatta male”, ha chiarito solo qualche settimana fa lo stesso Cappato. Le critiche dell’associazione Coscioni riguardano in particolare gli effetti discriminatori del testo nella versione attuale, che esclude dalla possibilità di accedere all’aiuto a morire i pazienti “non tenuti in vita da trattamenti di sostegno vitale”. È appunto il caso di Elena, che per questo ha deciso di andare in Svizzera. Le richieste di modificare la legge al Senato sono cadute nel vuoto, visto che il provvedimento non è mai arrivato in Aula. Nel frattempo è caduto il governo Draghi, è cominciata la campagna elettorale e il fine vita è tornato in fondo alla lista delle priorità dei partiti. Che pur di non sbagliare, preferiscono fare finta di nulla.