di Nicola Cirillo

A un certo punto della storia dell’umanità gli Stati Uniti hanno cominciato a dominare il mondo, e non con le armi o con la finanza, ma con la cultura, quella vera, e che come soft power si insinua nelle menti e nei cuori delle persone, condiziona comportamenti e destini. Nello stesso tempo nel nostro Paese – che detiene il maggior numero di siti Unesco al mondo – la cultura si è trasformata in risorsa da sfruttare commercialmente, o – nella migliore delle ipotesi – come nice to have, l’abbellimento della società, pur essendone, invece, il cuore stesso, lo strumento di evoluzione individuale e collettiva.

Può capitare, dunque, che sia un’associazione culturale americana, la Prospect Theater Company, in collaborazione con la Princeton University, a preoccuparsi di valorizzare un capolavoro della letteratura mondiale come Lo cunto de li cunti di Giambattista Basile. Ma soprattutto di restituire valore all’arte in generale, alle relazioni, a fare una deferenza sincera alla storia e al paesaggio naturale e urbano di uno dei borghi più belli d’Italia, Gesualdo. Due appassionati artisti statunitensi, Cara Loelle Reichel e Peter Mills, hanno accompagnato in questo borgo irpino, patria del grande musicista Gesualdo da Venosa, una ventina di studenti per un seminario residenziale di due mesi, preparando con loro un musical originale tratto dall’opera di Basile.

Fin qui nulla di eccezionale: una scuola estiva per studenti stranieri. Ma Cara e Peter hanno voluto coinvolgere gli artisti locali, integrandoli nel loro lavoro, e creando qualcosa di davvero unico: uno spettacolo itinerante originale e perfetto per scrittura, scenario, esecuzione, intenzione. Centinaia di spettatori hanno potuto emozionarsi e farsi coinvolgere dalle storie di Basile, dai saloni affrescati dei palazzi di Gesualdo, dalle cantine scavate secoli fa nella roccia, dai cortili e dagli orti tardo-rinascimentali.

Hanno passeggiato nel borgo, ascoltato le storie e le musiche che per tre giorni – come eco – provenivano dai vicoli, e infine sono approdati nel giardino di un palazzo nobiliare, il palazzo Pisapia, affacciato su una valle incantata. Lì hanno potuto ascoltare Lo cunto de lo cunto de li cunti (The tale of tale of tales) un capolavoro di profondità e ironia, un racconto ulteriore – non compreso tra i 50 di Giambattista Basile – e scritto per l’occasione da Peter Mills. E’ la storia (vera) dello scrittore napoletano e della sorella Adriana, cantante eccezionale e donna bellissima; una storia romantica che con un riuscito artificio teatrale si sovrappone a quella – già scritta da Basile – di Ninnilo e Nennella.

Pur nelle forme leggere del musical Lo cunto de lo cunto de li cunti è l’occasione per rivisitare con profondità filologica un pezzo di storia del nostro Paese, il ruolo della donna nell’arte (troppo spesso sacrificato a favore degli artisti maschi), l’emigrazione degli artisti, che cercano fortuna altrove, l’affermazione del toscano come lingua letteraria alla quale per buona ragione Basile si oppone; sono indimenticabili, a proposito, i siparietti imbastiti di ironia in cui Dante, Petrarca e Boccaccio intervengono come incubo ricorrente dello scrittore, per ricordare quanto il toscano sia preferibile e commercialmente più vantaggioso. E sono tre le lingue dello spettacolo: italiano, inglese e napoletano, calibrate con equilibrio tra testi e musiche, in modo da rendere credibile e comprensibile la storia a tutti, senza affaticarla.

Lo spettacolo, diretto da Cara Reichel, ha richiesto molte risorse tecniche e artistiche, ma giorno dopo giorno ha richiamato sempre più spettatori, anche da molto lontano, assiepati sui muretti o affacciati – con pazienza – dagli angoli più remoti di quella platea naturale. I ragazzi di Princeton, venuti qui a imparare la lingua e la cultura italiana, sono stati inconsapevoli insegnati di umiltà, dedizione e passione. Una generazione di ventenni che sembra gridare al mondo “fate l’arte, non fate la guerra”.

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