"Il Dipartimento di Stato crede che ci siano buone probabilità che riemerga la violenza anti- americana a seguito della morte di Ayman al-Zawahiri". Così scrive il ministero degli esteri americano in una nota rivolta a tutti i cittadini americani che si trovano all'estero, all'indomani dell'uccisione del leader di al- Qaeda in un raid Usa a Kabul
“Il Dipartimento di Stato crede che ci siano buone probabilità che riemerga la violenza anti- americana a seguito della morte di Ayman al-Zawahiri“. Così scrive il ministero degli esteri americano in una nota rivolta a tutti i cittadini americani che si trovano all’estero, all’indomani dell’uccisione del leader di al- Qaeda in un raid Usa a Kabul. Il ritorno dei talebani nella capitale afghana il 15 agosto dello scorso anno, ha smosso qualcosa nella galassia jihadista e non solo a beneficio di al- Qaeda che ha ritrovato in Afghanistan un porto sicuro,- come dimostrato dal fatto che il leader della principale organizzazione terroristica al mondo, Ayman al- Zawahiri, abbia trovato un nascondiglio in un quartiere residenziale di Kabul protetto dalla rete Haqqani che fa da trait d’union fra i talebani e al- Qaeda, – ma anche per altri gruppi terroristici come lo Stato islamico. La vittoria degli studenti coranici sull’Occidente, resa ancora più eclatante dalla dinamica rocambolesca con cui si è svolto il ritiro degli Stati Uniti e della Nato da Kabul della scorsa estate, avrebbe dato un impulso competitivo alle ambizioni jihadiste dell’ Isis e riacceso le speranze della varie cellule sparse nel mondo. La minaccia terroristica, dunque, riprende vita dopo una battuta d’arresto durata alcuni anni, dovuta anche alle sconfitte subite sul campo che hanno indebolito organizzazioni forti e radicate come al- Qaeda. Già nei mesi scorsi, infatti, in un report di maggio, le Nazioni Unite avevano messo in guardia sulla riorganizzazione del gruppo terroristico in Afghanistan supportata dalla connivenza del governo talebano.
Lo stato di salute del terrorismo internazionale: uno sguardo sull’Africa
Dalla Somalia all’Afghanistan, passando per la Libia, la galassia jihadista è presente in diversi scenari internazionali ed è attiva più che mai, nonostante il numero di attentanti, almeno in Europa, sia diminuito. Il minimo comun denominatore che unisce tutte le realtà in cui i gruppi terroristici riemergono, è il disimpegno occidentale. Come riportato da Foreign Policy, ad esempio, la branca qaedista al- Shabab in Somalia è diventata “più grande, più forte e più pericolosa” a seguito del ritiro di 750 truppe americane alla fine del 2020 decisa dal presidente degli Stati Uniti, Donald Trump. Nel Sahel, una striscia di territorio dell’Africa sub-sahariana che si estende dal Mali al Sudan passando da Ciad, Niger e nord della Nigeria, l’instabilità politica della regione associata alla conclusione dell’Operazione Barkhane annunciata lo scorso febbraio dal presidente francese Emmanuel Macron e che impegnava la Francia in questa regione sul fronte del contrasto al terrorismo, ha incentivato la riorganizzazione di gruppi criminali locali, la maggior parte dei quali affiliati ad al- Qaeda. Un’altra presenza ingombrante nella regione è quella dello stato islamico. Secondo alcuni analisti, combattenti dell’Isis reduci dalla guerra in Siria si sarebbero insediati in quei territori inospitali creando in alcune zone una struttura quasi parastatale. Stando ad alcune stime recenti, in Sahel opererebbero circa 2.000 combattenti dello stato islamico, di cui dai 1.000 ai 1.400 in Mali. In Libia, la situazione è leggermente diversa. Sia al – Qaeda che l’Isis che sono presenti sul territorio libico, hanno subito una perdurante battuta d’arresto che li ha costretti a rifugiarsi nell’area desertica del sud, dove hanno messo le mani sul contrabbando di esseri umani, armi e droga. Dopo avere perso il controllo di città strategiche come Derna e Sirte nel 2016, infatti, lo stato islamico non si è più ripreso a causa anche delle difficoltà di integrarsi nella struttura sociale tribale libica. Il gruppo terroristico ha così avuto il colpo di grazia quando nel 2020 l’Esercito di Liberazione Nazionale (LNA) di Khalifa Haftar ha ucciso il suo leader, Abu Moaz al Iraqi, costringendo i miliziani a spingersi al confine sud, mantenendo un basso profilo
In Iraq e in Siria l’Isis rialza la testa
A quattro anni dalla clamorosa sconfitta della battaglia di Mosul e un periodo di relativa pace, i miliziani dell’Isis hanno ripreso a organizzarsi. Secondo quanto riportato dalle forze di polizia locale, piccole bande di combattenti generalmente attaccano i posti di blocco della polizia locale assassinando i leader locali e attaccando le reti dell’elettricità e le installazioni petrolifere. Nonostante questo, il gruppo ancora è debole con risorse economiche quasi azzerate. Ma il vero problema dello stato islamico continua ad essere l’incapacità di avere presa sulle popolazioni locali. Quando nel 2014, il califfo al Baghdadi dal minareto di Mosul, dichiarava la creazione dello stato islamico dell’ Iraq e della Siria, il potere attrattivo del gruppo terroristico era molto alto. Oggi non è più così. Fare una stima del numero di jihadisti dello stato islamico presenti sul territorio è difficile. Secondo l’Onu i terroristi dello stato islamico ancora a piede libero sarebbero circa 10.000, con delle cellule e lupi solitari sparsi nel mondo che agiscono in maniera del tutto disorganizzata. In Siria, una presenza costante è quella del gruppo islamista militante Hayat Tahrir al-Sham, un tempo noto come Jabhat al-Nusra, affiliato ad al-Qaeda da cui si è staccato nel 2016 e che controllata la regione di Idlib nel nord- ovest. Recentemente, il gruppo ha avviato un’opera di pulizia dell’ immagine per presentare l’organizzazione al mondo come un interlocutore politico con il quale poter dialogare.