“Non c’è stata nessuna risposta dal Parlamento e dai capi di partito sull’eutanasia negli ultimi nove anni. Ci sono persone però che non hanno più tempo e che non possono più aspettare le scuse dei prossimi capi di partito. Noi intanto siamo pronti a rifarlo”. Questa mattina a Milano Marco Cappato, tesoriere dell’associazione Luca Coscioni, accompagnato dalla legale Filomena Gallo, si è autodenunciato ai carabinieri per avere portato Elena, una signora veneta di 69, malata terminale, in una clinica svizzera per il suicidio assistito. “Un aiuto indispensabile” come ha sottolineato Cappato che cinque anni fa, nella stessa caserma, aveva raccontato alle forze dell’ordine le modalità dell’aiuto a Dj Fabo. “Da lì era partito un percorso giudiziario che aveva portato fino al riconoscimento del suicidio assistito ma solo per un certo tipo di malati” spiega Cappato facendo riferimento alla sentenza della Corte Costituzionale del 2019 che fissava le quattro condizioni per accedere al suicidio assistito: la presenza di una patologia irreversibile, la piena capacità di autodeterminarsi, la condizione di sofferenza e il trattamento di sostegno vitale. Ed è proprio per la mancanza di quest’ultima condizione che la signora Elena è dovuta recarsi in Svizzera. “Che senso ha che una persona completamente paralizzata possa accedere al suicidio mentre un malato terminale di cancro con aspettativa di vita di pochi mesi non ha diritto e deve affrontare quello che Elena ha definito un inferno che non voleva affrontare” si chiede Cappato aggiungendo che “per una persona che viene aiutata per andare in Svizzera ce ne sono cento che non possono per diverse ragioni”. E alla domanda se è disposto ad andare in carcere risponde così: “Sono pronto ad affrontare le conseguenze di questo gesto ma la speranza è che se non lo hanno fatto le aule parlamentari, possano le aule di tribunale riconoscere un diritto fondamentale come questo”.
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