Marco Cappato si è autodenunciato la mattina del 3 agosto presentandosi in via Fosse Ardeatine, a Milano. Rischia 12 anni di carcere. “Oggi mi reco alla caserma dei carabinieri per raccontare l’aiuto fornito a Elena – ha spiegato parlando con la stampa prima di entrare -, senza cui non sarebbe stato possibile arrivare in Svizzera. E spiegherò ai Carabinieri che per le prossime persone che ce lo chiederanno, se saremo nelle condizioni di farlo, aiuteremo anche loro. Sarà poi compito della giustizia stabilire se questo è un reato o se c’è la reiterazione del reato. O se c’è discriminazione come noi riteniamo tra malati”. Non è infatti la prima volta che Cappato si trova in questa situazione: era giù successo nel 2017, quando aveva aiutato Fabiano Antoniani (Dj Fabo) ad accedere al suicidio assistito in Svizzera.

Con lui è presenta anche l’avvocatessa Filomena Gallo, segretario della associazione Luca Coscioni. “Non c’è stata alcuna risposta da parte del Parlamento, della politica, dei capi dei grandi partiti. In queste ultime due legislature non è mai stata discussa nemmeno un minuto la nostra legge di iniziativa popolare presentata 9 anni fa. Ora siamo arrivati a questa situazione che di fronte alla richiesta di Elena, potevamo girarci dall’altra parte o darle l’aiuto che cercava, alla luce del sole e assumendoci totalmente la responsabilità di questo”. Ha detto Cappato arrivando a Milano.

Il tesoriere della Coscioni aveva anticipato l’autodenuncia il giorno prima, al rientro dalla Svizzera: qui aveva accompagnato Elena, paziente di 69anni affetta da una patologia oncologica irreversibile, che aveva chiesto di essere aiutata a raggiungere il Paese elvetico per potere accedere legalmente al suicidio assistito. Poco prima di entrare in caserma, Cappato ha voluto ringraziare “il marito e la figlia di Elena per la fiducia e la vicinanza di queste ore”. E ha ricordato: “Cinque anni fa in questa stessa caserma dei carabinieri ero andato a raccontare le modalità dell’aiuto a dj Fabo. Da lì – ha continuato Cappato – è iniziato un percorso giudiziario che ha portato alla legalizzazione dell’aiuto al suicidio in Italia ma solo per un tipo di malati. Il Parlamento – ha sottolineato il tesoriere dell’Associazione Coscioni – avrebbe potuto subentrare in questi anni, la Corte Costituzionale lo ha chiesto a più riprese”. In merito alla possibilità della detenzione, Cappato ha risposto: “Io spero e preferisco che, come la disobbedienza civile per Dj Fabo ha aperto la strada, l’obiettivo di oggi non sia lo scontro o il vittimismo o il martirio, ma la speranza che, se non lo hanno fatto le aule parlamentari, possano le aule di tribunale riconoscere un diritto fondamentale come questo. Sapendo com’è la legge italiana, in ogni caso sono pronto ad affrontare le conseguenze”.

Tornando poi sul tema della discriminazione, Secondo Cappato c’è tra malati come Elena, che non possono accedere al suicidio assistito, e chi come Federico Carboni, “che sono dipendenti da trattamenti di sostegno vitale, lo possono fare pur con molte difficoltà. È un trattamento discriminatorio contro un certo tipo di malati rispetto ad altri, che faticherei a definire privilegiati, ma che almeno hanno questa faticosa, tenue, possibilità – ha concluso -, di ridurre le proprie sofferenze nella fase terminale della loro vita”.

Quella del tesoriere è infatti una nuova disobbedienza civile, proprio perché Elena non è “tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale”, quindi non rientra nei casi previsti dalla sentenza 242\2019 della Corte costituzionale sul caso Cappato\Dj Fabo per l’accesso al suicidio assistito in Italia. Il tesoriere rischia fino a 12 anni di carcere, come da lui stesso ricordato in un video. Tramite i suoi canali social aveva annunciato il suo viaggio oltre la frontiera: “Sto accompagnando in Svizzera una signora gravemente malata. Solo lì può ottenere quello che deve essere un suo diritto. Sarà libera di scegliere fino alla fine”. Poco dopo, aveva spiegato che Elena era riuscita a rispettare la propria volontà: “È morta, nel modo che ha scelto, nel Paese che glielo ha permesso”. In un video le ultime parole della 69enne veneta: “Sono sempre stata convinta che ogni persona debba decidere sulla propria vita e debba farlo anche sulla propria fine, senza costrizioni, senza imposizioni, liberamente, e credo di averlo fatto, dopo averci pensato parecchio, mettendo anche in atto convinzioni che avevo anche prima della malattia. Avrei sicuramente preferito finire la mia vita nel mio letto, nella mia casa, tenendo la mano di mia figlia e la mano di mio marito. Purtroppo questo non è stato possibile e, quindi, ho dovuto venire qui da sola”.

Dj Fabo, al secolo Fabiano Antoniani, 40 anni, è morto nel febbraio del 2017, in Svizzera. Era tetraplegico dal 2014 a causa di un grave incidente stradale. Questo il suo ultimo messaggio su Facebook: “Sono finalmente arrivato in Svizzera e ci sono arrivato, purtroppo, con le mie forze e non con l’aiuto del mio Stato”. E poi aveva ringraziato Cappato, che lo aveva sollevato da un “inferno di dolore”. Per morire, Antoniani aveva morso un pulsante con cui ha attivato l’immissione nel suo organismo di un farmaco letale. Anche all’epoca, appunto, Cappato rischiò 12 anni di carcere. Tuttavia, dopo un lungo iter processuale, fu assolto nel 2020 con queste motivazioni: “Le emergenze istruttorie hanno (…) dimostrato che Marco Cappato ha aiutato Fabiano Antoniani a morire, come da lui scelto, solo dopo aver accertato che la sua decisione fosse stata autonoma e consapevole, che la sua patologia fosse grave e irreversibile e che gli fossero state prospettate correttamente le possibilità alternative” come il rifiuto alle cure.

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