La Germania compie un passo indietro, che assomiglia più a un radicale cambio di rotta, sulla questione del nucleare. L’avvicinarsi dell’inverno e la necessità di trovare fonti alternative di energia al gas russo, dopo la riduzione delle forniture attraverso il gasdotto Nord Stream, hanno convinto il cancelliere Olaf Scholz a rimettere in discussione, almeno temporaneamente, le politiche dette Energiewende decise da Angela Merkel che prevedevano, tra le altre cose, un graduale abbandono del nucleare. Il capo del governo ha invece annunciato che prolungare l’attività delle centrali nucleari di cui la Germania ancora dispone è una mossa che “può avere senso”, anche se le ultime tre centrali nucleari ancora in attività pesano per una piccola parte della produzione elettrica. “L’espansione della capacità delle linee, della rete di trasmissione nel sud non è andata velocemente come avevamo pianificato – ha dichiarato giustificando così il cambio di posizione – Agiremo per tutta la Germania, sosterremo tutte le regioni del Paese nel modo migliore possibile, in modo che la fornitura di energia per tutti i cittadini e le imprese possa essere garantita al meglio possibile”. Ma la ministra degli Esteri, Annalena Baerbock (Verdi), frena: “Non è un’opzione”.
I tre reattori nucleari in questione sono l’Isar 2 in Baviera, il Neckarwestheim in Baden-Württemberg e l’Emsland in Bassa Sassonia e dovevano veder concludere il proprio ciclo vitale il 31 dicembre 2022, giorno in cui sarebbero state staccate dalla rete nazionale, almeno nei piani originari. Alla luce della carenza di metano creata dalla Russia, però, paesi come il Belgio hanno già rinviato l’uscita dal nucleare di dieci anni e adesso anche la Germania ha aperto un dibattito sul tema.
L’istanza dei grossi partiti di opposizione
Le opposizioni Cdu/Csu e AfD chiedono che i reattori siano lasciati in rete oltre la fine dell’anno. Il capogruppo dei Cristiano-democratici Thorsten Frei ha detto alla Bild che devono essere chiusi tutti i buchi nei rifornimenti energetici prima dell’inverno e che oltre al risparmio si deve sollevare il tetto di produzione con biogas e prolungare la vita dei reattori nucleari. Il suo omologo della Csu Alexander Dobrindt ha dichiarato alla Welt am Sonntag che a fronte dei brutali tentativi di destabilizzazione di Vladimir Putin si dovrebbe pensare ad una permanenza in rete delle centrali per almeno altri cinque anni. Il Governatore bavarese Markus Söder auspica che siano acquistate subito delle nuove barre fissili e che anche i reattori già staccati vengano riallacciati in rete in linea con le richieste dei partner europei, puntando il dito contro le scelte dei Verdi che avrebbero fatto perdere tempo al governo.
La Baviera si sente particolarmente esposta perché manca di linee ad alta tensione capaci di portare la corrente dal nord e ha poche centrali a carbone. Il ministro dell’Economia bavarese Hubert Aiwanger (Freie Wähler) nota che Isar 2 copre il 15% del fabbisogno e anch’egli vorrebbe far ripartire pure i tre reattori già spenti l’anno scorso. Idem il portavoce federale della AfD Leif-Erik Holm che invita i Verdi a togliersi “il paraocchi ideologico”. Un ripristino dei tre impianti staccati al 31 dicembre 2021 però, già solo per motivi giuridici di non semplice risoluzione (è ammessa solo la gestione in spegnimento) oltre che per la necessità di nuove dotazioni, è inimmaginabile.
La coalizione scricchiola
Il ministro delle Finanze Christian Lindner (FDP) domenica ha invitato a non usare più il gas e ha ribadito come nuovo termine per l’uscita dal nucleare il 2024. Il capogruppo del suo partito Christian Dürr si aspetta anche effetti positivi sul prezzo del metano e lo vede come un contributo “alla solidarietà europea”. Si guarda con apprensione alla Francia, dove circa la metà dei reattori è staccata dalla rete per manutenzione. E pure Ungheria, Romania e Slovacchia, secondo quanto indica l’agenzia Dpa, spingerebbero verso un prolungamento di esercizio dei reattori tedeschi chiedendo il riallacciamento anche degli altri tre staccati un anno fa.
Il vicecapogruppo della Spd Matthias Miersch manifesta invece scetticismo: “Finora gli aspetti tecnici, finanziari e relativi alla sicurezza vanno decisamente contro a un prolungamento dell’esercizio dei reattori tedeschi”, ha dichiarato ai quotidiani del gruppo Funke riferendosi agli esiti di uno stress-test della rete elettrica condotto da marzo a maggio. Il cancelliere Olaf Scholz non vuole affrettare la decisione e intende aspettare gli esiti di un secondo test commissionato dal dicastero dell’Economia, contemplando gli scenari più negativi che dovrebbero essere noti nelle prossime settimane. Tanto che da più parti si ritiene che sia stato voluto per giustificare il prolungamento della stagione del nucleare in Germania, facendo digerire ai Verdi un’apertura al compromesso all’insegna dell’emergenza e senza tradire l’anima del partito.
Per il partito ecologista l’attuale dibattito è però di primaria importanza. Già nel primo programma del partito c’era la richiesta di un immediato stop alla costruzione e all’attività delle centrali nucleari ed è stata la coalizione rosso-verde che nel 2000 ha determinato la prima uscita dal nucleare. È in questo contesto che va letta la chiusura netta di Baerbock, anche se tra i membri del partito esistono anche posizioni meno nette. Il ministro dell’Economia e per il Clima Robert Habeck dichiara che non ci sono tabù, il Governatore del Baden-Württemberg Winfried Kretschmann esclude che ci siano “divieti di pensiero”, la vicepresidente del Bundestag Katrin Göring-Eckardt ammette che in una situazione di effettiva emergenza, se gli ospedali non potessero più funzionare, si dovrebbe parlare dell’ulteriore impiego del nucleare e anche la ministra per l’Ambiente Steffi Lemke indica alla Frankfurter Allgemeine Zeitung di non escluderlo per un breve periodo, quantomeno per Isar 2.
C’è però una linea rossa fissata dalla segretaria Ricarda Lang: un temporaneo prolungamento di esercizio non può diventare definitivo e alla ripresa dei lavori parlamentari i Verdi si aspettano duttilità anche dai Liberali sulla rigida applicazione del freno all’indebitamento. Oltretutto, i reattori nucleari hanno fornito quest’anno circa il 6,4% della corrente, mentre il metano si usa soprattutto per il riscaldamento e ha contribuito al mix di energia solo per il 10,1%. La co-capogruppo Britta Haβelmann sprona il Cancelliere ad accelerare invece lo sviluppo delle energie rinnovabili. La base del partito ha già dovuto già digerire il riarmo e la ripartenza delle centrali a carbone: lunedì la centrale Mehrum a Hohenhameln (Bassa Sassonia) è stata la prima a riprendere le attività, con una capacità di 690 Megawatt. La Linke, infine, per bocca del capogruppo federale Tobias Bannk, è assolutamente contraria a ritardare l’uscita dall’energia atomica: è “irragionevole”, dicono, e criticano i Verdi per aver dato disponibilità alla nuova verifica.
Problemi di fattibilità
Il governo tedesco per mantenere in esercizio i reattori potrebbe cambiare la legge sull’energia nucleare, ma per giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea dovrebbe intervenire una nuova valutazione di impatto ambientale ricalcolando i rischi. La EnBW che gestisce Neckarwestheim è scettica e pure la RWE (Emsland) stima elevate le difficoltà per “una prosecuzione di esercizio sensata”. L’associazione KernD ritiene però che una nuova procedura di concessione completa ed esami di sicurezza non sarebbero in realtà necessari, mentre invece per i ministeri dell’Economia e Clima e dell’Ambiente assolutamente sì. Per la chiusura anticipata i gestori hanno inoltre ricevuto degli indennizzi e potrebbero non avere titolo a tenerli. Non è inoltre chiaro se i rischi per l’esercizio prolungato ricadrebbero sui gestori o sullo Stato. Tanto che il presidente dell’Agenzia federale per la sicurezza dei rifiuti nucleari (BASE) Wolfram König si è detto apertamente contrario a prolungare la vita dei reattori: “Una valutazione non solo dovrebbe tenere conto della sicurezza delle centrali nucleari, ma anche dell’eliminazione delle scorie radioattive”, ha scritto sulla FAZ.
Inoltre, le verifiche decennali delle centrali non sono state effettuate nel 2019 in previsione dell’uscita di scena dei reattori a dicembre 2022. Nuovi indispensabili controlli potrebbero durare anni, anche se i tre impianti hanno un alto livello di sicurezza. In occasione del cambio delle barre fissili vengono sempre svolte delle revisioni: l’ultima per Isar 2, ad esempio, risale all’ottobre 2021, tanto che il TÜV Süd non ha preoccupazioni e la PreussenElektra, la consociata di E-ON che gestisce la centrale, indica che “a determinate condizioni posticiparne lo stop sarebbe possibile”. Il Bund für Umwelt und Naturschutz però mette in guardia sul fatto che gli ultimi controlli completi risalgono effettivamente al 2009 su regolamenti degli Anni 80, precedenti a Chernobyl e Fukushima. Greenpeace, infine, si affida al parere di uno studio legale di Amburgo che riduce le valutazioni del TÜV Süd a “sciatto lavoro argomentativo” su incarico del ministero dell’Ambiente bavarese, che però respinge le accuse.
Lo stoccaggio delle scorie
C’è poi un problema legato allo smaltimento: la Germania non ha ancora deciso dove stoccare definitivamente le scorie. La località dovrebbe essere individuata per legge entro il 2031, con il trasferimento dei fusti che dovrebbe partire circa vent’anni dopo, dal 2050. Ma König indica schiettamente: “Devo constatare oggi che non ritengo realistico il traguardo del 2031”. Anche la direttrice del Dipartimento per la sicurezza nucleare Mareike Rüffer ha lanciato l’allarme dalle pagine dei giornali del gruppo Funke sui rischi legati alla produzione di ulteriori scorie.