Minacce, bestemmie, calci e schiaffi per aver chiesto di esser pagata per il proprio lavoro. Il tutto in diretta social. Il video lo ha pubblicato la stessa protagonista, una ragazza di 25 anni di origine nigeriana, vittima di un’aggressione da parte del suo ex datore di lavoro, il titolare del ristorante lido Mare nostrum a Soverato, in provincia di Catanzaro. La ragazza, arrivata in Italia 5 anni fa e madre di una bambina di 4 anni, aveva trovato lavoro come lavapiatti. Dopo una settimana però ha deciso di lasciare l’impiego, a causa delle vessazioni e dei turni massacranti, ben oltre quello dichiarato sul contratto (come spesso accade nel lavoro stagionale del turismo). Ma quando è andata a chiedere di essere pagata per tutte le ore effettivamente fatte, il datore di lavoro prima ha cercato di cacciarla, negandole i soldi che le spettavano e minacciando di chiamare i Carabinieri e gli avvocati. Poi è passato alla violenza fisica, con schiaffi e calci per rompere il cellulare con la quale la ragazza stava trasmettendo in diretta social. La donna ha raccontato tutto ai Carabinieri che hanno avviato accertamenti e, anche grazie al sostegno di Potere al popolo, ha deciso di rendere pubblica la videodenuncia. Successivamente anche il gestore dell’esercizio si è recato dai carabinieri per fornire la propria versione dei fatti.
Sul caso è intervenuto anche il presidente della Regione Calabria, Roberto Occhiuto, con un post su Twitter: “Dalla bellissima Soverato arriva una brutta storia. Il lavoro – che non deve in alcun modo somigliare alla schiavitù – si paga, sempre. E deve essere regolare: il nero o il fuori busta sono contro la legge. Solidarietà a Beauty. Gli inquirenti facciano piena luce su quanto accaduto”.
Parole di condanna anche dalla Fipe-Confcommercio, la Federazione italiana dei Pubblici Esercizi, che fa sapere in un comunicato si costituirà parte civile nei confronti del gestore se le indagini confermeranno la dinamica dei fatti. “Si tratta certamente di un gesto simbolico di solidarietà verso una donna lesa nella sua dignità personale – si legge nella nota -, ma vuole essere anche un modo per tutelare la reputazione e l’immagine di un’intera categoria, che crede nel valore del lavoro, nell’equa retribuzione dei propri collaboratori e nella valorizzazione delle competenze e delle qualità dei propri dipendenti, come professionisti e come persone”.