Il presidente Laporta sta appaltando il futuro del club per costruirne il presente, fedele seguace della nota affermazione dell’economista John Maynard Keynes, secondo il quale “nel lungo periodo siamo tutti morti”
Negli ultimi tempi in casa del Barcellona le magie sono state trasferite dal campo ai libri contabili. Il presidente Laporta, nel dichiarato intento di tenere il passo con “i club di stato”, ovvero quelli che si reggono sui petrodollari di Qatar e Emirati Arabi Uniti, sta appaltando il futuro del club per costruirne il presente, fedele seguace della nota affermazione dell’economista John Maynard Keynes, secondo il quale “nel lungo periodo siamo tutti morti”. Quindi pazienza se nel lungo periodo il Barcellona avrà accumulato mancati introiti per oltre 700 milioni di euro. L’importante è presentare ai tifosi Raphinha e Lewandowski, magari auspicando che il più grande investimento (economico ma anche tecnico) dei blaugrana degli ultimi anni, Frenkie de Jong, decida di togliere il disturbo.
Molti si chiedono come faccia una società sull’orlo della bancarotta a spendere oltre 100 milioni di euro per i due giocatori sopra citati. La risposta si chiama Sixth Street, un fondo di investimento con sede a San Francisco, che dopo aver pagato 200 milioni di euro per il 10% delle future entrare dai diritti televisivi dei catalani fino al 2047, ne ha sborsati ulteriori 310 per portare tale quota al 25%. Per i prossimi 25 anni, un quarto degli introiti televisivi del Barcellona finirà sul conto della Sixth Street, in cambio di denaro fresco subito disponibile. Laporta ha così sistemato l’esercizio di bilancio 2021/22, evitando l’ennesimo rosso, e consentendo alla società di presentarsi con i migliori conti possibili all’esame del tetto salariale della Liga, dove le retribuzioni non possono superare una determinata percentuale in relazione al budget.
Questo tipo di costruzioni con i fondi di investimento stanno diventando la prassi nel calcio, specialmente in quello di élite dove, a fronte del netto calo di introiti causato dalla pandemia, non sembra esserci la minima intenzione di diminuire i costi. Dal momento però che nessuno regala niente, l’operazione Sixth Street costerà una montagna di soldi al Barcellona. Con i nuovi accordi il club riceverà circa 200 milioni annui dai diritti tv; ipotizzando che questa cifra rimanga costante negli anni a venire, ogni stagione il fondo americano incasserà 50 milioni, rientrando in dieci anni dall’investimento e arrivando nel 2047 ad aver introitato 1.25 miliardi di euro, ovvero 740 in più rispetto al prezzo d’acquisto. Ma la cifra sarà verosimilmente più elevata, visto che i diritti tv vengono rinegoziati (al rialzo) ogni tre-quattro anni.
Saranno quindi oltre 700 i milioni di euro che non entreranno nelle casse dei catalani nelle prossime stagioni. In più ci sono le rate del nuovo prestito ottenuto da Goldman Sachs che ha rifinanziato gran parte del debito, il quale solo nell’esercizio 2020/21 ha sfiorato il mezzo miliardo di euro. Per migliorare la propria posizione di cassa, il Barcellona prevede di vendere metà della sua controllata, la Barça Licensing and Merchandise (BLM). Proprio quel ramo aziendale legato alle merci e alle licenze commerciali che nel 2018 era tornato in pieno possesso della società, con tanto di annuncio in pompa magna, dopo averne (ri)acquistato i diritti dalla Nike. Il CdA, guidato dal presidente Joan Laporta, ha approvato a maggioranza la vendita del 49.9% della BLM, a oggi però ancora senza un acquirente dopo che la società ha respinto un’offerta da 275 milioni. In vendita, dallo scorso ottobre, anche i Barca Studios, dove vengono realizzate produzioni audiovisive per i canali dei club e per alcuni titolari dei diritti. Durante la presentazione di un altro acquisto blaugrana, Jules Koundé, Laporta ha annunciato un accordo per la cessione del 25% degli studi a 100 milioni di euro a Socios.com.
In attesa di nuovi impulsi ai ricavi provenienti dal nuovo format della Champions League, a partire dal 2024, e dal rinnovamento dello Spotify Camp Nou, che però non sarà pronto prima del 2026, il Barcellona punta su questi incassi una tantum per tamponare la vera ragione dell’emorragia dei propri conti, ovvero i costi salariali, già alla base lo scorso anno della partenza a parametro zero di Lionel Messi verso il Paris Saint Germain. L’obiettivo dei blaugrana è diminuire questa spesa di 160 milioni per avvicinarsi alla “quota Real Madrid” che si attesta sui 400 milioni, utile per sfuggire – viste le entrate – alle restrizioni del tetto salariale della Liga. Sotto questo profilo, la cessione di Coutinho all’Aston Villa ha rappresentato una boccata di ossigeno. Ma in entrata, oltre ai citati Lewandowski e Raphinha, sono arrivati anche Kessie e Christensen a ingrossare libri paga zavorrati da giocatori quali Umtiti, Braithwaite, Pjanic e Lenglet, fuori dal progetto di Xavi ma difficili da piazzare proprio a causa del loro stipendio elevato. Da qui si arriva al caso De Jong.
Frenkie de Jong e il Barcellona sono fatti l’uno per l’altro, in primis per cultura e background calcistico. L’olandese è l’elemento di maggior valore della rosa di Xavi, ma per caratteristiche tecniche, tipologia di giocatore e profilo mediatico non è il tipico soggetto contro la cui cessione i tifosi scenderebbero in piazza. Su De Jong il Barcellona ha esercitato una doppia pressione, prima spingendolo verso il Manchester United del suo ex allenatore Erik Ten Hag, destinazione non gradita al giocatore (con l’ex Ajax i rapporti sono freddi e il progetto United non esalta De Jong) ma che avrebbe regalato ai catalani un’ottantina di milioni e tolto un discreto gruzzolo dal monte stipendi. Quindi, dopo lo stallo della trattativa, invitandolo a tagliarsi ulteriormente lo stipendio per rientrare nei già menzionati parametri della Liga.
De Jong aveva già accettato, con altri suoi compagni di squadra, una prima riduzione, ma sarebbe meglio definirla una dilazione di pagamento, vista la promessa del club di saldare i debiti in un non precisato futuro. Attualmente gli arretrati salariali di De Jong ammontano a 17 milioni di euro, ma il Barcellona gli ha chiesto un nuovo sacrifico salariale. Le reazioni non si sono fatte attendere, a partire dal presidente della Liga Javier Tebas. “Il Barcellona conosce le regole”, ha dichiarato, “esiste un’etica contrattuale e del lavoro da rispettare. Non si può mettere pressione ai giocatori o mandarli con le riserve perché chiedono il rispetto di quanto pattuito e sottoscritto”. Più duro l’intervento di Gary Neville: “Un club che spende una fortuna per nuovi giocatori senza pagare quelli sotto contratto è immorale, un’offesa. De Jong dovrebbe prendere in considerazione un’azione legale contro il Barcellona e tutti i giocatori dovrebbero sostenerlo”. Caustico infine l’ex calciatore norvegese Jan Age Fjortoft: “Sto ancora cercando di capire perché De Jong debba usare parte dei suoi soldi per pagare Lewandowski”.