Il cantautore spiega di essere guarito dal problema di salute che di recente lo aveva costretto a interrompere i concerti, e ricorda i giorni in Albania sotto il regime comunista di Enver Hoxa
Recentemente aveva dovuto interrompere l’attività live a causa di un problema di salute: gonfiori al viso e alla testa che lo avevano costretto a fermarsi e a fare accertamenti. Ora Ermal Meta fa sapere di aver risolto la situazione e si racconta in un’intervista rilasciata al settimanale Oggi. “Ho dovuto sospendere alcune attività lavorative per poter approfondire le cause e questo mi è dispiaciuto, ma era necessario“. Per fortuna con una cura mirata e repentina tutto è andato per il meglio: “Alle fine non era niente di davvero preoccupante” spiega.
Nel corso dell’intervista c’è spazio anche per ripercorrere le tappe di una vita iniziata in Albania, dove il cantautore è vissuto per 13 anni in un clima non dei migliori. Nella sua terra natìa, infatti, c’era il regime comunista di Enver Hoxa: “Quello che eri non poteva stare alla luce del sole. Ogni increspatura poteva esser letta come posizione sovversiva rispetto a un ‘codice’ che andava intuito, interiorizzato. Credo che questo mi abbia portato a nascondermi, anche se il periodo più duro è stato dalla caduta del regime, nel 1991, a quando sono partito, nel 1994: violenza, criminalità, morti per le strade, una sensazione di pericolo per la quale non perdonerò mai mio padre, che proprio in quegli anni terribili ci lasciò soli“.
Quindi l’arrivo in Italia, dove ha dovuto fare i conti con lo stereotipo dell’albanese-delinquente: “Sentivo di dover dimostrare che non ero come gli albanesi dipinti dai giornali. Mi sentivo un ospite che non doveva fare rumore. Mi dava fastidio e allora con la musica ho fatto più rumore che potevo […]”. Infine Ermal Meta spiega perché non gli piace essere considerato un esempio di integrazione: “Perché non ho fatto niente per integrarmi, anzi, ho sempre voluto distinguermi. Che cosa vuol dire integrarsi? Dissolversi? Ho la mia identità, le mie radici. Dal 2006 il mio passaporto dice che ho la nazionalità anche italiana, ma è un passaporto. In Albania ho vissuto 13 anni, in Italia 28. Ma se guardi una pianta non puoi ignorare che è così bella grazie a radici sane. Al solito, le cose importanti non si vedono”.