Alla fine, come in una inesorabile e malinconica metafora esistenziale, i silos di grano e mais che facevano capolino al porto di Beirut sono crollati, risvegliando particolati, gas tossici e un assaggio di quella densa e cupa polvere che ha avvolto la capitale del Libano alle 18.06 di due anni fa esatti, e che oggi spinge le autorità sanitarie a ribadire gli inviti a tenersi lontani dell’area, e ad indossare mascherine N95 nelle sue vicinanze. Un ruolo concreto e allo stesso tempo simbolico, quello dell’imponente struttura portuale di cemento, che ha sempre ospitato gran parte delle scorte di grano del Paese. Concreto perché quel 4 agosto 2020 furono proprio i suoi 70 metri di larghezza a “schermare” i quartieri ovest di Beirut dall’onda d’urto di una delle più potenti esplosioni non nucleari della Storia, che lasciò in macerie buona parte delle aree adiacenti al porto, come Karantina, Mar Mikhail e Gemmayze, uccidendo 250 persone – l’ultima, George Haddad, si è spenta l’altro ieri dopo due anni di coma -, sfollandone diverse centinaia di migliaia e ferendone, spesso con menomazioni vistose o permanenti, più di 6000. In un paese nel quale la sanità pubblica ha sempre meno risorse, e quella privata è sempre meno accessibile. Simbolico perché, mentre tutto ciò che si trovava nel raggio di 2 km diventava polvere, quei silos, posizionati a 15 metri dall’epicentro della detonazione, erano rimasti quasi del tutto in piedi: come se volessero concedere ai libanesi uno spiraglio di empatia, l’idea che le materie prime per beni di prima necessità, come il pane, fossero state risparmiate dalla tragedia cittadina. Ovviamente la realtà, si è da subito rivelata più dura. Il grano e il mais contenuti nei silos erano contaminati ed inutilizzabili, ed in un paese con una valuta in caduta libera, decrescenti capacità di import ed un debito esorbitante, ciò si è in breve tradotto nell’impennata dei prezzi del pane, come di tutti gli altri beni di prima necessità. Simbolico anche perché in questi due anni, la sofferenza dei silos sempre più pericolanti, e sempre più ignorati dalle autorità, ha simboleggiato anche la sofferenza e la disperazione dei libanesi, in attesa vana di un processo ai responsabili dell’esplosione, di un motivo o un responsabile preciso della morte dei loro cari. E’ ulteriormente perversa la circostanza per cui i silos sono crollati nei mesi della guerra in Ucraina, paese da cui il Libano importava molto del suo grano, e la cui offerta si è notevolmente contratta.
Mondo
Esplosione al porto di Beirut: due anni dopo, nessun responsabile. La tragedia specchio di un Paese in declino dominato dalla corruzione
Il Libano non è una autocrazia ma una democrazia, perlomeno in senso formale, uno stato di diritto, oltre che un paese sempre più diseguale. La classe politica è riuscita finora a sfuggire alle proprie responsabilità per la tragedia del 4 agosto 2020, incaricando via via le loro squadre di legali a individuare cavilli e vizi di forma negli avvisi di garanzia o nella convocazioni a deporre. Il 31 luglio scorso i silos di grano e mais che facevano capolino al porto di Beirut sono crollati
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