Ieri si è autodenunciato per aver aiutato Elena, 69 anni, malata oncologica, a raggiungere la Svizzera per morire. Oggi la procura di Milano ha inscritto, come da prassi dopo la ricezione di un’autodenuncia (fatta ieri ai carabinieri della compagnia Duomo), Marco Cappato per aiuto al suicidio. Il tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni deve rispondere dell’articolo 580 del codice penale che punisce “Chiunque determina altri al suicidio o rafforza l’altrui proposito di suicidio, ovvero ne agevola in qualsiasi modo l’esecuzione”. Se il suicidio avviene, il reato è punibile con “la reclusione da cinque a 12 anni”.
Del fascicolo si occupa il sesto Dipartimento della procura milanese guidato dall’aggiunto Tiziana Siciliano, il magistrato protagonista del processo a Cappato per l’aiuto al suicidio di Dj Fabo, la quale avrà come primo compito quello di vagliare la competenza territoriale. Se ritenesse che il reato sia stato commesso all’estero l’indagine resterebbe a Milano (dove è residente Cappato), se invece la valutazione fosse che la ‘disobbedienza civile’ a favore della pensionata veneta sia iniziata nel comune di Spinea (dove viveva la donna) – Cappato ha guidato l’auto fino alla clinica di Basilea – allora a occuparsi della questione sarebbe la procura di Venezia.
Non è infatti la prima volta che Cappato si trova in questa situazione: era giù successo nel 2017, quando aveva aiutato Fabiano Antoniani ad accedere al suicidio assistito in Svizzera. “Cinque anni fa in questa stessa caserma dei carabinieri ero andato a raccontare le modalità dell’aiuto a dj Fabo. Da lì – ha detto ieri Cappato – è iniziato un percorso giudiziario che ha portato alla legalizzazione dell’aiuto al suicidio in Italia ma solo per un tipo di malati. Il Parlamento avrebbe potuto subentrare in questi anni, la Corte Costituzionale lo ha chiesto a più riprese”. In merito alla possibilità della detenzione, Cappato ha risposto: “Io spero e preferisco che, come la disobbedienza civile per Dj Fabo ha aperto la strada, l’obiettivo di oggi non sia lo scontro o il vittimismo o il martirio, ma la speranza che, se non lo hanno fatto le aule parlamentari, possano le aule di tribunale riconoscere un diritto fondamentale come questo. Sapendo com’è la legge italiana, in ogni caso sono pronto ad affrontare le conseguenze”. Quella del tesoriere è infatti una nuova disobbedienza civile, proprio perché Elena non è “tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale”, quindi non rientra nei casi previsti dalla sentenza 242\2019 della Corte costituzionale sul caso Cappato\Dj Fabo per l’accesso al suicidio assistito in Italia.