Qui si parla di Marilyn Monroe, ma questo post inizia con la guerra e finisce con la guerra, va detto subito. Esattamente 60 anni fa Marilyn Monroe lasciava questo mondo dopo una vita apparentemente luccicante ma – ora lo sappiamo – in verità piena di ombre e fantasmi. Il suo percorso è anche, forse soprattutto, un enorme album di fotografie – e che fotografie! Mentre, ancora sconosciuta, nel 1945 la diciannovenne Norma Jeane lavora in una fabbrica di aerei militari, viene ritratta dal fotografo David Conover che realizza immagini di “ragazze che tengano su il morale delle truppe al fronte”: una foto di Norma viene pubblicata sulla rivista Yank e lei eletta “Miss lanciafiamme”. Poco tempo dopo la ragazza, che a quel punto aspira a diventare una modella, finisce nell’obiettivo del fotografo di moda André de Dienes, e una di queste immagini appare in copertina su Family Circle; con questa rivista firma il suo primo contratto e le sue foto iniziano a comparire in tutto il mondo, anche sulle riviste di cinema. Evidentemente già quelle immagini hanno un’aura e quel sorriso cattura l’attenzione.
Da qui al cinema il passo è breve, sia pure con parti inizialmente minori. E poi l’ascesa, inarrestabile, come icona, come star, come sogno proibito, come bandiera. Un’ascesa professionale in parallelo con la sua discesa personale. Tutto questo percorso è scandito da una complicità con i più grandi fotografi del mondo, che con le loro antenne ipersensibili sentono la sua potenza iconica, sono attratti da qualcosa che forse non capiscono ma proprio per questo vogliono scavare e scovare. Sul set e fuori dal set, nei momenti pubblici e in quelli privati, ci restano foto a volte leggendarie di Elliott Erwitt, Inge Morath, Henri Cartier-Bresson, Philippe Halsman, Eve Arnold, Douglas Kirkland (celeberrime le sue foto con Marilyn nuda tra lenzuola di seta ripresa dall’alto) e tanti altri.
Bert Stern la fotografa, in esclusiva per Vogue, nel giugno del 1962; siamo in una suite dell’hotel Bel-Air di Los Angeles, dove vengono realizzati oltre 2.500 scatti, che poi finiranno anche nel libro The last setting. Che last non era, dal momento che solo in anni recenti si è materializzato (e subito venduto all’asta) un servizio fatto nel luglio di quell’anno da parte di George Barris. E nello stesso mese anche Allan Grant la ritrae per Life. Ma la fotografia della Monroe che maggiormente mi ha sempre colpito è un ritratto di Richard Avedon: lei appare esplosiva nel corpo in un attillato e scollato abito da star alquanto triste, persa e depressa nel volto. Col senno di poi sembra di poter vedere in Avedon un veggente e nei suoi ritratti questa “entelechia” è colta non di rado.
Se in quei mitici anni a far nascere e consacrare le grandi star erano la fotografia e i fotografi (in Europa pensiamo a Brigitte Bardot, per esempio), ancora negli anni ’80 alcune star sono nate cavalcando abilmente la forza mediatica di immagini perfettamente aderenti al personaggio, per dirne uno: Madonna. Ma ora? Ora che le riviste muoiono? Ora che la carta non canta? Che domande! Ora c’è la rete, ci sono i social. Ma non è più, in questi luoghi del possibile e dell’impossibile, la grande fotografia ad avere un ruolo carismatico. Funziona invece il situazionismo, che quando è fotografico spesso è un selfie (chiedere istruzioni a Salvini). Fino a quando il grande fotografo, defenestrato dal mercato editoriale, improvvisamente ritorna per illuminare come ai bei tempi le pagine di Vogue con la star del momento: non più Marilyn Monroe, non più Brigitte Bardot, non più Madonna, bensì Zelensky e consorte in versione glamour.