Tra le tante bufale e false leggende ormai di pubblico dominio, c’è quella che i bovini siano tra i maggiori responsabili dell’effetto serra. In realtà ad aver indotto nell’errore ha contribuito uno studio della Fao (l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura) che oltre un decennio fa dichiarò che il 18% delle emissioni di gas (su tutti anidride carbonica e metano) derivasse dagli allevamenti zootecnici. Negli anni queste informazioni sono state corrette e soprattutto i valori ridimensionati, ma ormai i buoi erano scappati dal recinto e la fake news era dilagata!

Come stanno davvero le cose? Gli allevamenti di piccoli e grossi ruminanti (bovini, ovi-caprini, bufali) rappresentano la grande maggioranza del patrimonio zootecnico mondiale, localizzato soprattutto in Europa e Nord America. E, che si tratti di animali tenuti al pascolo o in allevamento intensivo, essi contribuiscono a produrre carne, latte, formaggi e altri prodotti d’origine animale che popolano le nostre tavole da decenni. Il loro complicato apparato digerente e il loro metabolismo ruminale consentono di ottenere energia dalla trasformazione della cellulosa, comportando la formazione di anidride carbonica e di metano che si disperdono nell’atmosfera.

Ma sappiamo bene che la vera impennata nella produzione di anidride carbonica è conseguente all’enorme sviluppo demografico e all’industrializzazione che hanno richiesto un forte incremento dei combustibili derivati dal petrolio, per attività produttive e trasporti (il surriscaldamento globale è iniziato proprio con l’avvento dell’era industriale). Un secolo fa, ad esempio, in Italia c’era un numero di ruminanti decisamente superiore a quello attuale e certo non era un paese più inquinato rispetto ad oggi. Tra l’altro, in merito alla responsabilità nella produzione di gas serra, recenti studi scientifici hanno evidenziato che la CO2eq (CO2 equivalente) prodotta dagli animali allevati in Italia (respirazione, CH4 emesso dai ruminanti e dal letame) e quella delle lavorazioni necessarie per la coltivazione dei foraggi è inferiore del 10% rispetto alla CO2eq fissata nei vegetali (italiani e importati) utilizzati per l’alimentazione. Percentuale che sale al 26-30% nel caso degli ovicaprini, perché i foraggi utilizzati da questi non producono CO2eq perché non sempre necessitano di lavorazioni. In definitiva, la CO2eq prodotta dagli allevamenti e immessa in atmosfera viene riassorbita dai foraggi utilizzati. Quindi anche il settore agricolo genera le emissioni di gas serra che possono, tuttavia, essere riassorbite grazie all’attività di fotosintesi e biodiversità del suolo che rappresentano un importante dissipatore di carbonio.

Tutti gli altri settori (energia, costruzioni, trasporti) possono impegnarsi a ridurre le loro emissioni e portarle gradualmente allo zero, ma non hanno la possibilità di rimuovere l’eccesso di CO2 già presente nell’atmosfera. La letteratura li definisce, infatti, “gas stock” perché si sommano sempre. Il carbonio utilizzato dagli animali allevati può essere considerato, invece, carbonio “riciclato”. Il carbonio biogenico attraversa un ciclo e viene fissato nei foraggi, mentre la CO2eq prodotta dai combustibili fossili è un gas di riserva che si accumula nell’atmosfera e non fa parte di un ciclo, ma è una fonte di calore “unidirezionale”. Soprattutto, oggi il numero di animali è diminuito e sono migliorati i sistemi di alimentazione che tendono a ottimizzare ciò che gli animali mangiano. Questo comporta una diminuzione della produzione dei gas a effetto serra, al punto che oggi la loro produzione da parte dei ruminanti è modesta rispetto a quella delle attività umane (senza dimenticare che, per effetto di alcuni batteri metanogeni, anche le risaie producono metano!).

Inutile quindi focalizzare l‘attenzione su argomenti male approfonditi e peggio studiati. Per la salute del nostro pianeta l’attività dei ruminanti non è poi così grave. L’attenzione invece andrebbe rivolta ad altre attività (trasporti, riscaldamento, industrie), all’incremento delle energie rinnovabili fino al rimboschimento, grazie al quale la fotosintesi clorofilliana aiuterebbe a catturare l’anidride carbonica prodotta in eccesso. Ma senza dare la colpa alle povere vacche!

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