A lasciare Forza Italia ha impiegato un quarto di secolo, per l’ultimo giro di nomine ministeriali è stato un razzo. Renato Brunetta ha aperto le procedure per la copertura di tre incarichi di vertice al Ministero della Funzione pubblica strettamente connessi al Pnrr. Il problema? Tutta la dirigenza d’Italia sa che non si possono conferire incarichi a governo sfiduciato e nell’imminenza di un voto che determinerà l’insediamento del successivo. Impedimento ribadito per altro da una recente circolare di Draghi sul disbrigo degli affari correnti. Ma Brunetta tira dritto, assestando un colpo di coda che fa discutere. Insorgono le associazioni dei dirigenti, che chiedono alla Presidenza del Consiglio di annullare le procedure “last minute” prima che sia dato corso alle designazioni. Sul caso si annunciano già interrogazioni parlamentari. “I ministri uscenti non conferiscano incarichi apicali attribuendo obiettivi che devono essere prefissati per un triennio, visto che tra meno di tre mesi sarà in carica una nuova compagine governativa”, ammonisce ad esempio il deputato di Fdi Paolo Trancassini.
La giostra delle nomine di Brunetta si accende il 15 luglio scorso, col governo Draghi sull’orlo della sfiducia. Quel giorno il ministro della Funziona Pubblica firma un decreto che riorganizza gli uffici del Dipartimento e fa partire dal 3 di agosto una procedura di interpello per individuare “entro dieci giorni” tre posizioni dirigenziali apicali strettamente connesse agli obiettivi del Pnrr: sono i coordinatori degli uffici per la semplificazione e digitalizzazione, qualità della performance e le riforme, organizzazione e lavoro pubblico. Che c’è di strano nell’operazione? Praticamente tutto, tempi e modi.
In primo luogo due dei 3 incarichi messi a bando (Ufficio semplificazione e Ufficio performance) erano vacanti da addirittura 15 e 7 mesi e da allora gestiti ad interim, dunque non c’era alcun bisogno di precipitarsi all’ultimo per coprire quelle caselle. A maggior ragione se nemmeno si poteva fare, cosa ribadita il 21 luglio da una circolare di Mario Draghi in persona, che – in continuità con le precedenti – ha stabilito il perimetro della attività che si possono svolgere in regime di disbrigo degli affari correnti, dalle quali sono escluse nomine e designazioni che non abbiano “esigenze non procrastinabili”. Che sia irrituale lo dimostrano i (pochi) precedenti. Nel 2006 Emma Bonino, sfiduciata con tutto il governo Prodi, si rifiutò tassativamente di procedere alla nomina, trovando corretto che fosse il successore a farlo. Il caso di oggi però è diverso e più specioso: Bonino era alle prese con un interpello già in corso prima della sfiducia, Brunetta lo ha attivato in fretta e furia nel pieno bailamme da sfiducia. Per questo dalle parti di Chigi viene indicato come il “colpo di coda” del ministro a termine, vedendo in questa operazione una volontà di accomodare ai vertici di uffici di peso persone di sua stretta fiducia. E per questo hanno preso posizioni molto dure le due maggiori associazioni più rappresentative del comparto.
In una nota congiunta Classi Dirigenti delle Pubbliche Amministrazioni (AGDP) e l’associazione Allievi della Scuola Nazionale dell’Amministrazione hanno chiesto alla Presidenza del Consiglio dei Ministri l’immediato ritiro degli interpelli in questione e di “assicurare la necessaria vigilanza presso tutte le pubbliche amministrazioni affinché non si ripetano simili episodi di evidente lesione dei principi di buon andamento e imparzialità delle Pubbliche Amministrazioni stabiliti dall’art. 97 della Costituzione”. Perché l’operazione fatta in fretta e furia chiama in causa anche gli organi di controllo, in particolare il segretario generale della Presidenza Roberto Chieppa, già presidente di sezione del Consiglio di Stato che avrebbe il compito di vigilare sulla legittimità degli atti e invece ha lasciato correre. Solo il segretario generale di Chigi autorizza o blocca apponendo la sua firma. Del ministro è la responsabilità politica, del segretario quella amministrativa. Non hanno atteso neppure il bollino della Corte dei Conti sul decreto di riorganizzazione degli uffici per dar corso agli interpelli che ne discendono, come se l’ok dei giudici contabili fosse scontato.